Robin  Proper-Sheppard ritorna con la sua band in un album più volte rimandato e molto atteso, anticipato da singoli piuttosto interessanti.

Per questo nuovo lavoro Robin,  oltre al bassista Sander Verstraete e al batterista Jeff Townsin , che lo avevano già  affiancato, ha coinvolto il chitarrista Jesse Maes, il tastierista Bert Fly e il sassofonista Terry Edwards, già  al lavoro con Nick Cave e PJ Harvey.

Questa nuova formazione lo ha aiutato a realizzare un ottimo album che, pur mantenendo alcuni elementi tipici dei Sophia, presenta aspetti nuovi e assolutamente intriganti, confermando la band come una delle migliori realtà  in circolazione. I brani presenti si muovono spesso in dimensioni diverse, ma hanno la caratteristica di catturare l’attenzione dell’ascoltatore e di trasformarsi, quasi immediatamente, in un ascolto piacevole, a tratti entusiasmante, valido e interessante dall’inizio alla fine.

Il brano di apertura  “Strange Attractor” parte con synth e con un tocco di new wave, almeno fino all’arrivo della chitarra acustica che si pone in evidenza su un tessuto sonoro in crescendo, un ottimo inizio, un gran pezzo. “Strange Attractor” ci indica come questo album sia maggiormente basato su una voglia di costruire canzoni con una struttura classica, potremmo dire mainstream se il termine non venisse spesso frainteso.

Anche il successivo “Undone. Again.” è un bel pezzo,   melodicamente più immediato e meno impegnativo del primo: nel testo, come Robin  Proper-Sheppard stesso ha confermato, parla del suo amore per la cantautrice  Astrid Williamson, ex frontwoman del gruppo Goya Dress, e in tour anche con i Sophia.

Se “Wait” con il suo inizio da pop sognante alimentato dal coro, finisce con il crescere ascolto dopo ascolto nella sua dimensione onirica, il brano successivo “Alive” è uno dei   pezzi più affascinanti che ho ascoltato in questo anno, merito anche del sassofono di   Terry Edwards, così come dell’andamento melodico e della voce di Robin Proper-Sheppard, che traccia la linea di un rapporto d’amore che non trova equilibrio tra il ghiaccio e il fuoco.

Se vi manca il momento malinconico allora ecco la lenta ballata “Gathering The Pieces”, seguita da “Avalon”, meno malinconica con la chitarra acustica a dare un tocco folk.

Se “Days”, forse, è il momento meno entusiasmante dell’album, “Road Song” e soprattutto “We See You (Taking Aim)” rialzano subito il livello. In particolare quest’ultima, con il suo andamento incalzante, apre scenari interessanti, mettendo in mostra anche un testo che va oltre le considerazioni esistenziali e filosofiche, ma si muove su ambiti politici di denuncia dei metodi criminali che le grandi aziende utilizzano per ottenere i risultati prefissati.

La strumentale “Prog Rock Arp (I Know)” chiude un album ben realizzato e ispirato, in cui Robin Proper-Sheppard, rispetto ai suoi lavori precedenti, s’impegna (riuscendoci), come accennavo, nella costruzione di brani che hanno forse una struttura più immediatamente raggiungibile, ma non per questo meno validi.

Non so se ai fan di vecchia data questo album farà  storcere il naso in un atteggiamento tipico e spesso stucchevolmente snob, ma, per come la vedo io, i Sophia fanno centro, mettendo in questo lavoro un pizzico di (in)consapevole e misurata voglia mainstream, che qui diventa un valore aggiunto (ma non sempre accade) e che li ripropone ancora una volta protagonisti della scena musicale indie.