I Darlingside hanno festeggiato lo scorso maggio dieci anni di carriera, un traguardo importante che hanno celebrato con una buona dose d’ironia e finendo di registrare in pieno lockdown questo nuovo album. Bloccati in parti diverse d’America, confinati nei piccoli studi casalinghi creati per l’occasione (soluzione d’emergenza per molti musicisti) hanno completato il lavoro di gruppo iniziato con un produttore d’eccezione come Peter Katis (Interpol, The National) nei Tarwuin Studio di Bridegport (Connecticut).

Le armonie vocali create da Don Mitchell, Auyon Mukharji, Harris Paseltiner e David Senft sono il punto di forza di dodici brani che si soffermano sulla bellezza della natura e delle piccole cose, troppo spesso date per scontate. “Fish Pond Fish” è meno sperimentale ed elettronico rispetto al precedente “Extralife”, anche se i Darlingside non rinunciano certo a considerare lo studio di registrazione come un enorme parco giochi sonoro dove dare libero sfogo a idee e intuizioni a volte improvvise (la frizzante “Green + Evergreen” ne è un esempio e in “Ocean Bed” si sentono l’abbaiare di un cane e la registrazione del rumore di una lavatrice difettosa).

E’ la ricchezza e la nitidezza dei particolari e del suono a colpire, fin dalle prime note di “Woolgathering/Crystal Caving” con quella piccola coda strumentale dove violino, banjo, chitarre, tastiere formano melodie perfette che poco dopo diventano delicate come filigrana in “Keep Coming Home”, “Time Will Be”, “February/Stars” e “A Light On In The Dark”. Riflessivo e posato almeno quanto Extralife” era esplosivo, “Fish Pond Fish” conferma il carattere volitivo dei Darlingside e il loro essere fondamentalmente una piccola orchestra raccolta intorno a un solo microfono.