Da tempo ormai la fatina svedese Anna von Hausswolff si è incamminata in un sentiero musicale ricco di incrinature, lontana da afflati pop rock, così come dalle felici derive doom metal che pure ci avevano sorpreso, e non poco, ma che sembravano poter rappresentare la sua autentica essenza.

Se con il precedente album “Dead Magic”, la Nostra aveva iniziato a perlustrare un terreno diverso, infarcendo il sound di strumenti classici e di arrangiamenti aulici (pur consoni al suo più recente background), con questo “All Thoughts Fly” invece la sua nuova forma canzone giunge a compimento, alimentando oltremodo il versante neo-classico, con richiami a certa musica ambient a tratti evidenti.

L’opera sin dal titolo rimanda per associazione al sommo Dante Alighieri, visto che “quei pensieri che volano” sono racchiusi in un’epigrafe posta sulla bocca dell’orco del Parco dei Mostri di Bomarzo, che a sua volta in origine citava i celebri versi in apertura dell’Inferno nella Divina Commedia.

In ogni caso l’intero album è tutto dedicato al Sacro Bosco di Bomarzo, in provincia di Viterbo, e da esso trae ispirazione per brani di grande impatto e atmosfera, seppur poco immediati e non facilmente accessibili, per usare un eufemismo.

Lo strumento principe, ampiamente utilizzato anche nel disco precedente, è l’organo, già  di per sè in grado di conferire solennità  al tutto; nella fattispecie la von Hausswolff ha voluto utilizzare un organo a canne della chiesa à–rgryte nya kyrka di Goteborg, il cui suono è davvero maestoso e imponente.

Tracciata la linea e decisa a codificare il suo nuovo lavoro ricreando l’atmosfera magica, ma anche obliqua e misteriosa, che si può respirare all’interno del Sacro Bosco, lungo i brani Anna non ha tralasciato sperimentazioni, come nella sua indole.

E se l’apertura, affidata alla celestiale “Theatre of Nature”, è un primo chiaro riferimento al tema del disco, già  con la seconda traccia (“Dolore di Orsini”), i toni si fanno più darkeggianti, a testimonianza di un’inclinazione mai sopita: grande protagonista è appunto l’organo, lo stesso che, coadiuvato da un onirico flusso di tastiere, rende cangiante e luminoso il brano “Sacro Cuore”, quello che a mio avviso maggiormente simboleggia l’intero album.

L’episodio successivo – “Persefone” – esplora altri territori sonori, perimetrato comunque da placide note d’organo, mentre il repentino (ma intenso) passaggio di “Entering” ci introduce alla lunga suite eponima, dai toni spaziali e indefiniti. La chiusura del disco avviene con la sospesa e fluttuante “Outside the Gate (for Bruna)”, che mostra tratti comuni con i Sigur Ros.

Lo abbiamo detto in apertura: non è certo un disco di facile ascolto ma allo stesso tempo è estremamente affascinante e suggestivo potervisi perdere dentro.

Credit Foto: Gianluca Grasselli