C’era una discreta attesa per il nuovo lavoro da solista – a distanza di dieci anni dal suo esordio – di Jón àžor Birgisson (noto con l’abbreviativo Jónsi), voce inconfondibile e leader riconosciuto degli islandesi Sigur Rós.

Se nel mentre il Nostro era stato impegnato, oltre che col gruppo madre (il cui ultimo titolo risale al 2013), nella realizzazione di varie colonne sonore e altri progetti artistici, è indubbio che la prova del nove coincida (quasi) sempre con una nuova raccolta di canzoni.

“Shiver” ci mostra un artista nel pieno della forma, consapevole dei propri mezzi e delle sue indubbie doti compositive, qui declinate egregiamente in undici brani di spessore, intensi ed evocativi, ancora eterei e sperimentali se vogliamo ma in qualche modo più accessibili, fosse anche per l’utilizzo della lingua inglese in praticamente tutti i brani.

Si tratta di un album in cui l’autore islandese, pur non tradendo le sue origini e il suo background musicale, si diverte a flirtare con l’elettronica, avvalendosi di suoni sintetici dei più svariati e di una produzione (curata assieme al giovane prodigio A.G. Cook) che mira a metterne in luce un’evoluzione naturale ma allo stesso tempo fortemente ricercata.

Il risultato, a detta di chi vi scrive (dichiarato fan dei Sigur Rós) è certamente apprezzabile e soddisfacente, laddove non si voglia a tutti i costi delimitare un confine tra la musica creata in tanti anni con il gruppo e quella proposta tra i solchi di questo album.

Per chiudere un inevitabile parallelismo mancano qui la componente prog e in parte quella “romantica” ma non latitano di certo quelle fantastiche atmosfere sospese, il riconoscibile falsetto, la voglia di osare e di stupire e, soprattutto, le emozioni genuine e improvvise che Jónsi sa trasmetterci con efficace regolarità .

Il biglietto da visita è affidato all’opener “Exhale”, dall’introduzione delicata che poi sfocia in un tripudio di suoni sintetici accompagnati da cori intriganti: è un inizio incoraggiante, che trova una fragorosa conferma nella title track, tra i momenti più suggestivi dell’intero lavoro, in cui viene facile perdersi tra le sfaccettate trame oniriche, che avvolgono e lasciano fluttuare liberi.

La successiva traccia porta con se’ un fascino insito, oltre che indiscutibile, in quanto regala il connubio tra due delle voci più suggestive e sognanti dell’intero panorama musicale: quella ovviamente di Jónsi e della splendida Elizabeth Fraser dei Cocteau Twins.   Con simili premesse, una canzone come “Cannibal” non poteva certamente deludere le aspettative, e difatti le due voci complementari amano rincorrersi e intrecciarsi, sancendo un incastro assai coinvolgente, oserei dire perfetto.

Con “Wildeye” mutano drasticamente gli scenari e possiamo vedere il Nostro alle prese con una performance nervosa e ficcante, su un tappeto sonoro vivace in odor di techno, quasi l’opposto della sognante “Sumarià° sem aldrei kom”, una canzone raccolta, intima, interpretata nella propria lingua madre e, che pur di fatto incomprensibile ai più, ha il merito e il dono di riuscire ad arrivarci comunque forte e ammaliante.

Il centro del disco si poggia sull’ondivaga “Kórall”, spezzettata e dalla struttura a-simmetrica, preludio a uno dei brani di punta, o per lo meno il più orecchiabile, vale a dire “Salt Licorice”, in cui stavolta il protagonista duetta con la frizzante Robyn (che, a dire il vero, un po’ gli ruba la scena con la sua prorompente vocalità  e l’attitudine pop).

Poco male, il buon Jónsi si rifà  con gli interessi nella successiva “Hold”, che gode di un arrangiamento sublime in grado di condurlo in territori di moderno r’n’b, genere del tutto inesplorato fino a quel momento ma in cui pare sentirsi a pieno agio.

“Swill” convince con le sue aperture maestose e i suoi fendenti elettronici, per una atmosfera quasi in contrapposizione con la più minimale “Grenade” che la segue in scaletta, in cui pop e ambient si sposano magnificamente; ma giunti a questo punto, è evidente come in “Shiver” l’autore abbia voluto manifestarci le sue differenti anime, musicali e non solo, le diverse facce di una medaglia che mai come in un simile contesto sono svelate in maniera così nitida.

“Beautiful Boy”, episodio posto in chiusura, potremmo quindi farlo assurgere a manifesto programmatico dell’album, trattandosi cioè di un brano libero, che si muove senza vincoli e con fare sicuro. Un po’ come il passo di Jónsi, proteso verso vette altissime che per il momento ci ha fatto solo intravedere, ma che sembrano alla portata del suo straordinario talento.