La pandemia come spunto di riflessione, come inevitabile momento per guardare alla nostra realtà , agli affetti, alle emozioni perse e a come la nostra vita sia cambiata. In Italia mesi fa la parola d’ordine era “speranza“, il famoso “andrà  tutto bene“, arcolbaleni e una volontà  di uscirne insieme. Ora le cose sono cambiate, gli animi sono più ombrosi, arrabbiati, impotenti. Siamo esseri umani, inseriti in una cosa grande, difficile e complessa, a cui ognuno fa fronte accendendo il cervello o addirittura spegnendolo a modo suo, elaborando idee, concetti, ricette e modi di fare, mentre il mondo parla e sparla intorno a noi, rassicurandoci o spargendo confusione.

Tim Arnold, raffinato musicista inglese, è sempre stato, a mio avviso perfetto studioso di mosse umane. Ho avuto modo di conoscerlo di persona e ho ammirato il suo modo di leggere le situazioni e la sua capacità  di andare oltre a quello che ci dicono gli occhi. Da sempre ammiro anche la sua musica, ricca, elaborata e coinvolgente.

La pandemia e il lockdown ha coinvolto anche lui. La lontananza da sua madre (residente in Spagna) e l’impossibilità  di vederla, la “fuga” da Londra per stare con gli affetti più cari nell’ East Sussex. Una bolla in cui respirare aria familiare, scambiare amore e scrivere canzoni che parlassero di quello che aveva nel cuore. Una scrittura terapeutica certo, ma non solo, un modo anche per fotografare un situazione reale, un “suo” momento che poi, empaticamente, diventa anche un “nostro” momento (“I miss people/ I miss friends/ Starting to feel weird now“). La sua capacità  di analisi, il suo leggere gli stati d’animo, la sua intensità  nel tradurre quello che ci circonda non poteva non emergere ancora una volta.

E’ nato così “When Staying Alive’s The Latest Craze”, perchè Tim non poteva certo andarsene senza portare con sè una chitarra, un laptop e un microfono. Quello che piace nell’album è l’attenzione assoluta che l’artista mette alle piccole cose, ai dettagli, a quelle minime realtà  che in momenti così oscuri fanno la differenza, perchè, per fortuna, le abbiamo con noi o perchè, purtroppo, non ci sono e sono quelle che ci mancano di più. Questa analisi del particolare viene accentuata da una scrittura musicale mai così “spartana” per un artista che ci abituato ad arrangiamenti ricchi ed elaborati. Non è il momento ora di essere “sovrabbondanti”, ora è il momento di essere maggiormente scarni, asciutti, di far trasparire parole e sincerità  in modo chiaro, mentre la base elettronica spesso segna il tempo e da il ritmo e la chitarra completa il suono assieme un lavoro di tastiera (“Key Worker”, il brano più “synthetico” del lotto).

Non siamo al minimalismo, sia chiaro. In una canzone solare e accattivante come “Another Record That Changed My Life” (composta praticamente solo da titoli di album) c’è il Tim che da sempre conosciamo, capace di tirati fuori un brano pop irresistibile, “One Percent” incalza nella ritmica e presenta una partitura d’archi vibrante e ficcante, ma per un brano come “Change Of System”, ad esempio, non possiamo che ripensare alla freddezza e ai pochi elementi che completavano la voce di The Edge nel brano “Numb” degli U2.

Tim Arnold non perde il suo gusto melodico. La carezza di “The Wonder”, la compassata “Weird Now” costruita con un climax emozionante, la sublime e toccante “The Great Without” (in cui il pensiero, quasi rammaricato e incapace di spiegarsi il perchè di tutto questo, va alla madre e c’è un magnifico rimando, nel testo, a un verso degli Oasis) e il ritornello avvolgente di “Nothing On Earth”, brano magnifico e disperato su quanto ci sta accadendo, sono solo alcuni esempi di come la capacità  di scrivere melodie incisive di Tim non sia affatto venuto meno anche in un disco così personale e sentito.

Grazie Tim per una testimonianza musicale e umana assolutamente lucida e coinvolgente. Un disco che diventa specchio, testimonianza e “instant classic” toccante dei nostri tempi.

Photo credit: Nim Arnold