Yoann Lemoine, il nome che si cela dietro al progetto Woodkid,  è un artista di indubbie capacità , vanta collaborazioni con Luc Besson e Sofia Coppola, è ricercato per le sue qualità  di regista di video musicali, ha lavorato tra gli altri con Moby per “Mistake”, Katy Perry “Teenage Dream”, Lana Del Rey “Born To Die” e “Blue Jeans” e ha alle spalle un album di successo come “The Golden Age” che ebbe un certo impatto trasversale, alimentando l’interesse dei giovani: diversi pezzi finirono anche nei videogame, ma raggiunsero l’ascolto di una platea in un certo senso più critica.

Dal 2013, anno di pubblicazione di “The Golden Age” (  leggi la recensione ), fatta eccezione per alcune colonne sonore, non abbiamo avuto un vero e proprio album, pertanto l’annuncio di questo “S16” ha alimentato una certa curiosità , nell’ attesa di ascoltare verso quali sonorità  si fosse mosso Yoann Lemoine.

La cosa certa è questo album rappresenta un progetto ambizioso, una specie di concept in cui musica e testi si completano per esprimere quel senso di incertezza e caducità  del presente.

Per fare questo l’artista utilizza la metafora dello zolfo (S16 è il suo simbolo e numero chimico), elemento così presente in natura e cosi importante, ma allo stesso simbolo del diavolo e del male: attraverso questa simbologia concentra in un unico elemento si sviluppa la ricerca di un equilibrio personale e l’involontario superamento della dicotomia tra il bene e il male, una fusione dello yin e yang.

Musicalmente sembra proseguire il discorso del precedente album, ma spingendo maggiormente su una strada intima e sofisticata, comunque non rinunciando ad una certa sperimentazione come per “Pale Yellow”, con la presenza di registrazioni dei macchinari di Jean Tinguely presso lo Stedelijk Museum, in un testo nel quale si parla della capacità  di resistere alla voglia di autodistruggersi. Jean Tinguely è stato uno scultore che nelle sue opere ha riportato una critica alla industrializzazione, tramite la realizzazione di opere-macchine, da un inizio ironico e sarcastico l’artista ha sviluppato un arte sempre più cupa e inquietante, preannunciando l’incubo dell’autodistruzione.

Questi toni oscuri li ritroviamo anche in “Enemy” che non si discosta poi molto da “Pale Yellow”, anche qui i toni sono cupi, con il ritornello che si interrompe come bombardato e ottimi arrangiamenti: la nera nuvola della dipendenza che ci opprime, come avviene in fondo in gran parte dell’album, nel quale la dipendenza è un concetto ricorrente.

“Highway 27” esprime un sound a tratti industriale, con la voce modificata che esprime un senso di inquietudine, mentre “In Your Likeness” è una ballata che, in fondo, è una richiesta di aiuto.

In tutti i suoi pezzi emerge questa impressione lucida della ricerca della perfezione sonora, come se stesse l’artista scrivendo una colonna sonora per un suo immaginario film.

Già  accadeva in “The Golden Age”, anche questa volta riesce facile immaginarsi questi pezzi suonati da una grande orchestra, ma rispetto al suo precedente lavoro, dove c’era una volontà  di percorrere momenti epici ed esaltanti, in questo album Woodkid  appare più oscuro, pesante e opprimente lasciando spazio alla sua capacità  tecnica ma esaltando meno l’ascoltatore.

Yoann Lemoine ha realizzato “S16” in modo ineccepibile e curato nei minimi particolari, un lavoro che forse ha l’unico difetto di non avere singoli pezzi capaci di fare da traino a tutto il resto. Ci ritroviamo un ascolto piacevole, certo, che forse però non ha la brillantezza del suo precedente album capace di incuriosire e spingere all’ascolto, ma resta un lavoro comunque sofisticato, come per esempio accade con il pianoforte di   “Horizons into Battlegrounds”, qui a tratti epico.

Woodkid dimostra ancora una volta di avere talento e capacità  tecnica e lo fa realizzando un album   difficile e introspettivo, esprime le sue idee musicali e le mostra presentandole con la massima lucentezza possibile, condisce il tutto con video e un finto sito di una fantomatica compagnia mineraria ( https://adaptiveminerals.com/ ), mette tanta carne al fuoco realizzando un album ben confezionato, forse troppo.

Credit Foto: Mathieu Cesar