E’ davvero difficile, soprattutto a livello emotivo, accostarsi a quello che è giustamente considerato il vero testamento artistico di Syd Barrett – se si escludono le varie raccolte postume -, vale a dire l’album “Barrett”, pubblicato questo stesso giorno cinquant’anni fa.

E lo è ancora di più a maggior ragione se si considera quel “crazy diamond” il vero genio creativo cui ruotavano le prime intuizioni musicali dei Pink Floyd, e di conseguenza si reputa quella da lui guidata la migliore versione possibile di un gruppo che solo anni dopo la sua dipartita sarebbe diventato celebre in tutto il mondo. Ma questa è un’altra (gloriosa) storia, alla quale il Nostro purtroppo non ebbe modo di partecipare, complice un allontanamento che oramai non era più soltanto da quel mondo musicale in cui forse si sentiva (a ragione) tradito, ma sempre più in primis da se’ stesso, in preda com’era a una follia sempre più alienante e debilitante.

Eppure, agli albori della sua carriera solista, iniziata con la pubblicazione nello stesso anno di “The Madcap Laughs”, erano in un numero maggiore coloro che si auspicavano, e prevedevano, che a fare successo sarebbe stato lui anzichè gli ex compagni, nonostante fossero già  innegabili da una parte il talento chitarristico di David Gilmour e dall’altra la forte personalità  di Roger Waters.

In effetti di seguaci il buon Syd ne aveva ancora molti all’epoca del suo debutto in proprio, tutti a riconoscergli appunto uno status di grande artista, di stella polare a cui poi i Pink Floyd avrebbero con ogni probabilità  sempre finito per guardare.

I riscontri, seppur timidi, non tardarono così ad arrivare per delle composizioni sicuramente affascinanti che poco o nulla però avevano a che spartire con i primi capolavori da lui partoriti come “Astronomy Domine”, “Bike” o “See Emily Play”: tra le pieghe della sua musica, tirata per i capelli da Gilmour e Waters in veste di produttori ma non solo, la psichedelia scintillante degli inizi era stata sopraffatta in favore di un animo genuinamente folk e acustico.

La prova del disco, oltremodo complicata e concepita in condizioni psicologiche sempre più borderline, era stata di fatto superata e perciò i suoi fedeli manager Jenner e King – che sin dalla sua uscita dai Pink Floyd avevano deciso di non abbandonarlo, scommettendo su di lui – spingevano in direzione di un nuovo album, viste le tante canzoni abbozzate da Barrett in quel periodo.

“Barrett” quindi doveva ribadire che il suo titolare, nonostante conclamate problematiche personali, era ancora in grado di allestire una scaletta all’altezza della propria fama, in cui poter esprimere le sue qualità  e il suo mondo interiore, così fortemente dissociato.

Purtroppo però, e David Gilmour e Rick Wright (arruolati in fase di produzione) ne ebbero subito una dimostrazione, le cose per Syd stavano precipitando in modo assai repentino e la registrazione di quei brani spesso solo embrionali finì per somigliare presto a una vera odissea, tra take infinite per ogni singolo episodio, comportamenti sempre più bizzarri e uno scoramento generale che si stava adombrando ormai su tutti i protagonisti in gioco (oltre all’autore e ai due Floyd impegnati anche come musicisti molto più che “di supporto”, era stato chiamato alla batteria Jerry Shirley).

A maggior ragione, visti i presupposti, è assolutamente straordinario alla fine il risultato ottenuto: dodici canzoni che scandiscono letteralmente gli stati d’animo sempre più contrastanti del povero Barrett, tra più o meno vaghi riferimenti al suo precario equilibrio mentale (nell’ondivaga eppur coinvolgente “It Is Obvious” o nella sferzante “Gigolo Aunt” che magari non avrebbe sfigurato in “The Piper at the Gates of Dawn”), dolci e stralunate canzoni d’amore (la paradigmatica “Love Song”, densa di delicata malinconia, per non dire della più classicheggiante “I Never Lied to You”) e ricordi pregni della gioventù irrimediabilmente (e drammaticamente) perduta in “Waving My Arms in the Air”.

Le tracce che colpiscono di più tuttavia sono proprio quelle che sembrano rimanere in bilico tra la grandezza di un tempo e la nebulosità  limitante del presente: alludo alla pimpante, irresistibile “Baby Lemonade” (uno dei suoi picchi creativi senza dubbio) e la più riflessiva ma altrettanto caleidoscopica “Dominoes”, altra perla del suo canzoniere. Bagliori di luce accecante – emblematici di un’ispirazione ancora in grado di volare alta – ci giungono anche dalla romantica “Wined and Dined” e dalla vivace e roboante “Wolfpack”, carica di urgenza comunicativa.

Il disco per forza di cose non poteva risultare omogeneo, nemmeno con gli immani sforzi e tutto l’impegno possibile di chi stava dietro le quinte (e più verosimilmente al centro del progetto, visti i cospicui interventi per giungere a un prodotto appetibile per la pretenziosa casa discografica): ecco quindi che all’interno vi si trovano anche alcuni episodi una volta di più fuori dai canoni della musica pop del periodo (e non solo).

Difficile infatti provare a catalogare in un territorio ben definito un brano come “Rats”, con le sue deviazioni rockeggianti e il cantato sicuro e irriverente, una “Maisie” dai connotati blues spaziali e la conclusiva “Effervescing Elephant” che, con i suoi tratti bandistici in odor di psichedelia, conteneva al suo interno i prodromi di quello che sarebbe diventato Barrett nella sua esperienza con i Pink Floyd, visto che era stata scritta ben prima che i sogni di rock ‘n roll potessero instillarsi nel suo cuore.

Rimane ovviamente un grande senso di incompiuto, non solo in questo lavoro ma anche riferendoci in toto all’esperienza di questo fulgido talento bruciato troppo in fretta, il quale, magari non del tutto consapevolmente, ha contribuito in maniera esponenziale a scrivere un capitolo importante della storia della musica.

Syd Barrett ““ Barrett
Data di pubblicazione: 14 novembre 1970
Tracce: 12
Lunghezza: 38:43
Etichetta: Harvest/EMI; Capitol Records (U.S.A.)
Produttore: David Gilmour e Richard Wright

Tracklist
1. Baby Lemonade
2. Love Song
3. Dominoes
4. It Is Obvious
5. Rats
6. Maisie
7. Gigolo Aunt
8. Waving My Arms in the Air
9. I Never Lied to You
10. Wined And Dined
11. Wolfpack
12. Effervescing Elephant