Un nuovo album degli Zen Circus è sempre un arrivo gradito, venti anni di una carriera che aveva dato all’inizio una popolarità  tutto sommato di nicchia alla band e un seguito che, partito da “Villa Inferno”, non li ha mai abbandonati.

Parliamo di un gruppo che aveva la particolarità  di un sound “diverso da tutti”, un rock nostrano con venature punk e folk sempre interessante, impreziosito da testi che, nel descrivere il proprio vissuto e la provincia, dava spaccati nei quali poter riconoscere persone incontrate nel proprio percorso personale o magari anche se stessi. In questo universo targato Zen Circus, prendevano forma storie, rapporti familiari, ragazze incomprese, loop anaffettivi e una critica sociale che, con la capacità  di chi si vuole distanziare ma finisce con l’essere inevitabilmente coinvolto, ci regalava visioni sempre interessanti, sia quando ci si muoveva con rabbia sia quando era l’ironia a colorare il testo.

Una storia artistica che ha avuto la capacità  di affascinare più generazioni in un panorama italiano nel quale, come dicevo sopra, sembravano essere unici, diversi dalle altre band e dai cosiddetti rocker nostrani.

Questo loro percorso, tutto sommato underground, ha una svolta con l’uscita de “La terza guerra mondiale”, indubbiamente un album molto bello che ha, molto probabilmente volontariamente, un sound più accessibile e alcuni brani a presa rapida, come la bella “L’anima non conta”, capace di attirare l’attenzione immediata di chi, fino a quel momento, li aveva ignorati e di un nuovo giovane pubblico ovviamente affascinato.

Un’impennata di popolarità  che culmina con la  loro partecipazione sanremese, come previsto da una specie di quota indie che prevede l’arrivo della band del momento, presenza che “fortunatamente” non onorano fino in fondo,  visto che portano il pezzo più difficile degli ultimi anni “L’amore è una dittatura”, con un   testo fulminante e senza ritornello.

Una scelta strana vista la produzione “lievemente” mainstream (e attenzione mainstream non è un offesa) degli ultimi album.

Gli Zen Circus comunque hanno finalmente quello che meritano, per quello che hanno fatto in tanti anni riuscire ora a riempire i palazzetti, come avvenuto a Bologna (Paladozza) nel 2019, è un traguardo e un riconoscimento alla band.

L’arrivo di questo nuovo album era inaspettato, come avviene spesso con i loro lavori, e la curiosità  di verificare come gli Zen Circus si sarebbero mossi dopo “Il fuoco in una stanza”, in fondo il continuo del loro precedente album, era alto.

“L’ultima casa accogliente” prosegue il discorso iniziato con “La terza guerra mondiale” e spero sia la chiusura di una trilogia pop rock, che se da una lato continua a produrre brani che possono lasciare il segno su un certo tipo di pubblico, magari quello che si è avvicinato da poco al loro sound, dall’altro rischia di svelare una specie di pericoloso autocompiacimento edonistico nella costruzione dei brani.

Prendo ad esempio due canzoni, ovvero “Appesi alla Luna” e “Non”, indubbiamente tra quelli che in questo album catturano subito l’attenzione e che possiamo definire ben confezionati. Posso dire che non sono all’altezza degli Zen Circus? Oggettivamente non lo potrei dire, visto che anche i testi sono meritevoli, ma, allora, perchè ho questo senso di inquietudine ascoltando “Non”? Sarà  forse perchè mi viene in mente Vasco Rossi? Anzi, è soprattutto perchè mi viene in mente Vasco Rossi?!

A questo punto preferisco “Bestia Rara”, in cui si torna alla provincia e alle storie dimenticate, affreschi di un tempo e di un ricordo, meno inno da accendino delle altre ma più ossessione musicale e un odio e una rabbia che cresce come la musica o “Catrame”, capace di intrappolare, un gioco nel quale ci impantaniamo a volte, dopo aver accettato il proprio destino, anche con piacere.

“Ciao sono io” e “Cattivo” sono i momenti musicalmente più deboli dell’album, e anche “2050” non brilla per originalità , ci pensa la conclusione con la title track “L’ultima casa accogliente” a risollevare, con Ufo che ci da dentro con il basso, e un testo che apre alla speranza, al cambiamento. Resta un rimorso che cova dentro, la consapevolezza di non riuscire ad amare fino in fondo che si trasforma in senso di colpa, la sensazione di non aver amato abbastanza che diventa un tarlo che consuma, soprattutto quando l’abitudine a guardarsi dentro ha portato a esplorarti completamente e la ricerca di una casa accogliente, che credi di aver trovato in te stesso non basta più.

Appino nei testi si è sempre speso molto, e in fondo anche qui lo ritroviamo.

Due parole per la copertina dell’album che, non me ne vogliano le fan, risulta essere la loro più brutta di sempre e per la quale non riesco a trovare un significato o quello che trovo voglio scartarlo a priori.

Quindi “L’ultima casa accogliente” è un album bruttino? E’ il peggiore album degli Zen Circus? Diciamo che forse è il loro meno riuscito ma, allo stesso tempo, non posso dire che sia deludente. Quello che mi sento di dire è che se  “La terza guerra mondiale” aveva in diversi pezzi una diversità  piacevole rispetto al passato, ora questa difformità    sembra essere stata assimilata e assorbita e la band avrebbe bisogno di nuove vie da percorrere.

Photo: Magliocchetti