In un ipotetico elenco degli artisti geniali, un posto in prima linea lo riserverei ad ogni singolo componente degli Elio e le Storie Tese, per capacità  creativa, sapienza tecnica e per l’ironia che li ha contraddistinti e alimentati, immensità  che ha permesso la creazione di   grandi capolavori divertenti e intelligentemente diretti, a volte anche sorprendentemente poetici.

Venire quindi a conoscenza che Elio e le Storie Tese avrebbero fondato una società  che si sarebbe concentrata nella produzione di nuovi talenti, non poteva che far drizzare le orecchie, vista l’indubbia loro capacità  critica.

Hukapan è il loro progetto che si sta animando con artisti interessanti e originali: oggi sul piatto abbiamo questa nuova band bresciana, che esordisce con un album più che meritevole.

I Viadellironia sono una band tutta al femminile che ci propone un rock ben fatto, con i testi di Maria Mirani interessanti e mai banali, come avviene con l’ottimo brano di apertura “Bernhardt” nel quale, con una costruzione molto intelligente e raffinata, si traccia la scelta inconsapevole di arrendersi alla propria mediocrità , adattandosi e finendo con l’essere felice nel proprio ruolo di mosca.

Una scrittura dove il luogo fisico ricopre sempre un ruolo importante e sembra preannunciare la condizione di costrizione, impedimento, ricordo, o frustrazione.

Questa costrizione, a volte inconsapevolmente autoinflitta, che ritroviamo in molti brani e che finisce per confondersi con i luoghi stessi come avviene, per esempio, nell’ottima anche “Ho la febbre”, con la partecipazione di Stefano “Edda” Rampoldi, in cui la metropoli come la provincia opprime, o in   “Le radici sul soffitto”. In questo caso sono le radici e non il cielo a dominare una stanza dell’ospedale, e ancora “Canzone introduttiva,” nel quale il giudizio mortifica il proprio modo di essere e condanna alla prigionia, in una drammatica e convincente ricostruzione storica nel quale il sanatorio è il luogo.

Sono ancora i luoghi a tracciare la linea della propria inquietudine esistenziale e la sensazione di essere fuori posto, come avviene nel bel brano “La mia stanza”   con la chitarra di Cesareo  che produce l’album, e l’ospizio è il tempo che distrugge.

L’artwork è stato realizzato dall’artista Dorothy Bhawl, capace di ottenere riconoscimenti internazionali per la sua arte estrema in grado di esprimersi con una simbologia mistica ed esoterica, affascinante e complessa nelle sue allegorie, ottenendo l’attenzione di stilisti come Vivienne Westwood, andando a collaborare con musicisti come Devo, Phil Collins, Davide Toffolo dei Tre Allegri Ragazzi Morti e Andrea Fumagalli dei Bluvertigo.  

Queste ragazze ci sanno fare e, pescando dal rock più alto degli anni ’90, riescono a realizzare un album convincente e interessante sul quale riflettere e poter divertirsi, sia nell’ascolto che nell’interpretazione di testi liricamente ambiziosi. Una scrittura matura e colta che rende “Le radici sul soffitto” un album d’esordio ben fatto.

Photo Credit Dorothy Bhawl