I Ghost Woman sono una band Canadese che sembra sfuggire alle leggi che regolano l’universo intero. Forse perchè la loro musica nasce da una mente alquanto libera ma che sfugge ogni tentazione di protagonismo. Evan Uschenko è l’alfa e l’omega, il fulcro della band che comprende le due chitarre di Travis Salty e Nick Hay, il basso di Jon Lent e la batteria di Eli Browning. “Anne, if” è il loro sophomore. Il loro esordio risale al 2016 anche se con questo album possiamo parlare dei Ghost Woman come di una nuova band che si è evoluta anche grazie ai tour di supporto a band del calibro di King Gizzard, La Luz, Meat Bodies e Los Lobos.

Undici brani in 33 minuti, l’album ben si colloca nel filone garage e psichedelico degli anni ’60, con particolare riguardo alle sonorità  e alle energie della West Coast (“Anne, if” – il brano che da il titolo all’album –   non ci ricorda gruppi, come i Dream Syndicate, che ripresero quelle sonorità  quasi vent’anni dopo?).

Un pizzico di genialità  la possiamo percepire nella struttura e scaletta dell’album: l’introduzione e il benvenuto di chitarra di “Welcome”, troncato dopo 48 secondi da “Broke” è poi completata da “So Long”, brano che chiude – salutandoci – l’album.

Devo ammettere che c’è un brano in questo album che mi ha colpito e attratto come un Peacky Blinders è attirato da un bicchiere di whisky irlandese:   “The End Of A Gun”. Si respira dannatamente aria di sixties con una chitarra jangle che viene poi sostenuta da un ritmo che non da adito a scuse: ci si alza e si è costretti a muovere le assopite membra. Anche il video del brano richiama ai favolosi anni con immagini d’epoca di biker che scorribandano per zone desertiche e motel.

Una band che ha trovato un proprio stile ed un proprio equilibrio, magari anacronistico e instabile ma capace di colpi di genio che sanno colpire nel segno.