#10) IDRIS ACKAMOOR & THE PYRAMIDS
Shaman !
[Strut]

Ritorno in grande stile per Idris Ackamoor, compositore dedito ad esplorazioni cosmiche afro jazz fin dagli anni ’70. Questo “Shaman !” parte col pezzo (omonimo) che dura oltre 12 minuti, un inizio ostico sulla carta che invece si rivela subito fresco e zeppo di suoni affascinanti, nonchè di ascolto più facile di quanto ci si aspetterebbe.

#9) WHITNEY
Candid
[Secretly Canadian]

Dischi pop rock ne sono usciti moltissimi in questo 2020 debordante di sventure quanto di album sopraffini. I Whitney, band di Chicago dal frontman – batterista che canta in falsetto, sono da sempre dediti ad un suono morbido e un po’ retro’, che a volte funziona molto (l’esordio del 2016 “Light Upon The Lake”) a volte meno. Con “Candid”, un disco di cover, siamo nel primo caso: le versioni di “Strange Overtones” di Byrne/Eno, “Hammond Song” e “Country Roads” di John Denver, col featuring di Katie “‘Waxahatchee’ Crutchfield sono deliziose.

#8) BILL CALLAHAN
Gold Record
[Drag City]
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Ogni nuovo disco di Bill Callahan è un piccolo (o grande) classico per chi ama il songwriting americano. E lui, da fuoriclasse assoluto, non sbaglia mai un colpo.

#7) SHABAKA AND THE ANCESTORS
We Are Sent Here By History
[Impulse!]

A proposito di fuoriclasse, dall’altro capo dell’oceano, a Londra, il sassofonista Shabaka Hutchings sta portando il jazz ad un nuovo livello, con questo progetto come coi Sons of Kemet o i Comet is Coming. “We Are Sent Here By History” è un viaggio spiritual nella musica nera, qualcosa al di fuori dei generi e del tempo, un ascolto imprescindibile per questo 2020.

#6) MOSES BOYD
Dark Matter
[Exodus]

Ecco un altro eroe della scena jazz londinese, producer e batterista, che in “Dark Matter” alle radici africane aggiunge beat elettronici e voci soul, come in “Shades of You”, o un elegante pianoforte, quello di Joe Armor-Jones, in “2 Far Gone”. Insieme all’album che lo precede in questa classifica, “Dark Matter” è il disco che fotografa meglio la scena U.K. Jazz contemporanea, vale a dire quella da diverso tempo è la più eccitante del pianeta.

#5) SAULT
Untitled (Rise)
[Forever Living Originals]

Nonostante siano al quarto disco in un anno e mezzo di questo collettivo si sa poco o nulla. Sono – pure loro – londinesi, amano la black music e la destrutturano per ricomporla in tutte le sue declinazioni. Funk, soulful, dance, hip hop, jazz, e ogni volta è un pezzo che colpisce. Vista la prolificità , speriamo in un nuovo disco per la fine dell’anno.

#4) KHRUANGBIN
Mordechai
[Dead Oceans]
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Con “‘Mordechai’ ci si imbarca da Houston, Texas, città  di provenienza del trio, per un giro del mondo in 43 minuti e 10 canzoni dove si diffondono suoni di ogni latitudine. Psichedelici e stilosi anche nell’abbigliamento – non sfigurerebbero come protagonisti di una campagna di Gucci – i Khruangbin sono ormai una sicurezza, migliorano di album in album, e in questo piazzano anche un paio di singoli-bomba, “”Time (You and I) e “‘Pelota’.

#3) KELEKETLA!
Keleketla!
[Ahead Of Our Time]

I mitici Coldcut, fondatori dell’etichetta Ninja Tune, volano a Soweto, in Sudafrica, per dare vita al progetto più straordinario del 2020, che prende il nome da una libreria indipendente della township. Musicisti locali, collaborazioni con Tony Allen e il solito Shabaka, frenesie afrobeat, breakbeat (“Crystallise”) e potenziali hit (“International Love Affair”): “Keleketla!” è già  un classico.

#2) TAME IMPALA
The Slow Rush
[Modular]
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Un ‘caleidoscopio di suoni’.I Tame Impala sono forse l’unico caso in cui questa abusata definizione calza a pennello. La band australiana è una delle poche ad esser riuscita a coniugare sonorità  multicolore dalle tinte pop, psichedelia e mainstream, pezzi da heavy rotation radiofonica e grezze gemme per cultori del genere. “The Slow Rush” ne è la conferma: basterebbe la doppietta “Lost in Yesterday” ““ “Is it True” a renderlo uno di migliori dischi dell’anno, e invece per nostra fortuna ci sono altre dieci canzoni (quasi) dello stesso livello.

#1) FLEET FOXES
Shore
[Anti]
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Pubblicato a sorpresa a ridosso dell’equinozio autunnale, il nuovo lavoro di Robin Pecknold è semplicemente il disco folk pop perfetto. Melodie scintillanti, scorci di luce tra le nubi minacciose, un suono che sembra esser sempre corale e la voce cristallina di Pecknold che ingentilisce e commuove. Per il sottoscritto non ci sono dubbi: “Shore” è il miglior disco del 2020.