Mezzo dramma giudiziario, mezzo thriller psicologico, “The Undoing” è una produzione televisiva e gigantesca e rigorosa come solo HBO se le può permettere. Tolto qualche punto per qualche evitabile didascalismo di troppo (la rappresentazione molto anni ’90 e Oliver Stone dell’upper class newyorkese), la serie mantiene quel che promette e non delude. Manco, a mio avviso, nel tanto vituperato finale, che ho trovato coerente e deliziosamente anticlimatico.In realtà , mi si passi il termine internettaro, ho proprio avuto l’impressione che gli sceneggiatori si siano divertiti a trollarci.

Intorno al quinto episodio, fanno di tutto per indurre lo spettatore a convincersi della colpevolezza del protagonista (dallo Skype tra moglie e suocera al ritrovamento del …). Tutto sembra così chiaro che, assuefatti come siamo dai cheap trick del cinema e delle serie moderne, ci sembra che il meccanismo non possa che condurre a un plot twist. E invece.

La verità  è che la fabula in “The Undoing” conta molto poco, a pesare sono le mutazioni subite dalle relazioni interpersonali, dagli equilibri famigliari, una volta che la matassa della verità  inizia a districarsi. Ed è qui che fa la differenza una rosa interpreti pazzesca, che va da un Donald Sutherland istituzionale ad una Nicole Kidman emozionalmente cangiante. Giusto per citare i protagonistissimi.

Mi fa invece ridere che tutti si stiano accorgendo delle grandi possibilità  di Hugh Grant solo ultimamente, quando invece per me è un idolo totale da tempo immemore.