Oramai, ad ogni uscita di Sgrò, non posso mancare di parlarne; con il cantautore lucchese, infatti, ho stretto un tacito vincolo d’amore che, tempo fa, ebbi anche l’occasione di confessargli – incredibile notare che non ne fosse troppo preoccupato. E dunque eccomi qui, a pagare il mio debito alle richieste del cuore mentre sorseggio “Maledizione”, l’ultimo mirabolante elisir di Sgrò.

Musica liquida, sì, ma Bauman qui c’entra solo fino ad un certo punto; quella di Sgrò è melodia allo stato fluido, espressione languida e laconica che cola esattamente dal centro del cuore verso le curve dello stomaco, in un processo di costante de-pressurizzazione della tensione: Sgrò sembra appartenere ad un empireo nostalgico e tutto bianco, pieno di piante e incensi, e la sua voce è quella di un oracolo bambino che accarezza a suon di schiaffi. Sgrò possiede una musicalità  naturale, che si fa volano di una capacità  autorale capace di rendere l’impronta del cantautore lucchese identitaria, in direzione ostinata e contraria.

La sviolinata è giustificata dal sentimento, ma sopratutto dalla fibra di un brano come “Maledizione”, che nella sospensione paralizzante del suo andamento a tratti narcotico addormenta ogni difesa dell’ascoltatore, che di fronte all’intensa umanità  di un testo diverso, perchè onesto, non può che sentirsi felicemente nudo.

Bravo Sgrò, hai colpito ancora! Ma io, oltre al tuo disco d’esordio, aspetto quella birra (sono diventate tre, intanto) che mi hai promesso tempo fa. I poeti, che strane creature: ogni volta che parlano è una truffa.

Listen & Follow
Sgrò: Facebook