Il 2 Febbario del 1976 venne finalmente pubblicato e distribuito “A Trick of the Tail”, settimo album in studio del leggendario gruppo progressive rock Genesis, nonchè il primo senza la presenza dell’ormai ex frontman Peter Gabriel.

Sarebbe assurdo non celebrare tale pietra miliare della storia della musica con un articolo dedicato.
Sono particolarmente affezionata a quest’album. è stato, da bambina, il mio primo personale approccio al progressive: ricordo che mio padre mi fece ascoltare qualche brano cercando di stimolare la mia fantasia tra le note fiabesche e le atmosfere incantate di “A Trick of the Tail”.
Io, piccola settenne curiosa e appasionata di favole e mondi magici, passavo ore davanti alle casse del vecchio stereo di casa sfogliando il booklet del disco, pieno di disegni ammalianti e testi dal carattere tipografico simil handwritten.

Per chi non avesse ben presente ciò a cui mi sto riferendo, ecco qualche cenno.
La realizzazione della copertina del disco venne commissionata dai Genesis all’artista freelance Colin Elgie, (che si occuperà  anche di “Wind & Wuthering”, l’album successivo), e si caratterizza per lo stile decisamente vintage che ben si abbina al mood dell’intero album.
Il “trucco della coda” è, coerentemente con la poetica dei Genesis di quel periodo, pregno di questa narrativa fatta di personaggi inventati che popolano i testi dell’album: ciascun personaggio, all’interno della copertina apribile, compare anche di fianco al testo della canzone cui è relativo.
I testi, infatti, si ispirano ad autori letterari come Carlos Castaneda (“Dance on a Volcano”), o a William T. Cox (“Squonk”); non mancano poi le storie di fantasia come l’avventura del rapinatore solitario in “Robbery, Assault & Battery” o la strana creatura con coda e corna protagonista della title track.

Per me, ascoltare le otto tracce che compongono l’opera rappresenta sempre una nuova scoperta.
Una nuova avventura che mi porta ad individuare dettagli che negli anni mi sono persa, sfumature che sono tutt’ora in grado di trasportarmi in quel mondo fantasy fatto di storie e leggende che tanto amo ancora oggi.

è impossibile, a dirla tutta, non rimanere ammaliati dall’armonia di “A Trick of the Tail”, un album che nasce dall’esigenza espressiva del gruppo a seguito dell’uscita di Peter Gabriel.
Non tutti sanno che i Genesis continuavano ad interrogarsi, anche dopo l’uscita dell’album e in occasione del tour dedicato, su chi dovesse prendere le redini del gruppo proponendosi come frontman e cantante. Tutti, infatti, avevano dato per scontato che Phil Collins,  concluso il momento dell’incisione del disco, avrebbe continuato a dedicarsi esclusivamente alla batteria: incredibile come questo disco, invece, abbia rappresentato un po’ l’affermazione definitiva della sua carriera stellare come padrino del prog rock, anche e soprattutto a livello vocale.

Tornando al disco, “A Trick of the Tail” ottenne sin dall’uscita un certo successo di pubblico e critica, sia nel Regno Unito che all’estero, guadagnando il terzo posto nelle classifiche britanniche, il quarto in Italia e Nuova Zelanda, il settimo nei Paesi Bassi e il trentunesimo negli Stati Uniti. Quest’ultima una posizione mai raggiunta dai Genesis fino a quel momento.

Il disco si apre con “Dance on a Volcano”, una cavalcata prog che ricorda i Gentle Giant: gli strumenti suonano a tratti all’unisono, a tratti in contrappunto come se si stesse assistendo ad una jam session. Gli ultimi due minuti sono una corsa col fiato corto tra chitarre e sintetizzatori che si ferma e riprende convulsamente, regalandoci istanti musicali veramente altissimi.
Si passa poi alla dolcissima e malinconica “Entangled”, che attinge a piene mani dall’immaginario musicale pastorale dei primi Genesis. I suoni sono medievaleggianti, corali, con un tripudio di arpeggi acustici eseguiti dalle sapienti mani di Mike Rutherford e Steve Hackett. La chiusa del brano è invece opera di Tony Banks, il quale pensò di inserire il mellotron donando in questo modo un’epicità  struggente agli ultimi minuti della canzone.
La terza traccia è la iper coverizzata “Squonk”, il brano più mainstream (se si può dire) e orecchiabile dell’intero album.
A chiudere il side A dell’LP c’è l’incantevole “Mad Man Moon”: un capolavoro, ad avviso di chi scrive. Questa traccia è il trionfo di Tony Banks, che ci regala una composizione ed un’esecuzione pianistica al limite delle lacrime di commozione (o addirittura oltre tale limite), tanto è dirompente la forza evocativa di questo brano. Il brano che sembra essere avvolto da una sottile cortina di nuvole rischiarata dalla luce della luna. Quest’ultima esprime la sua bellezza totalizzante attraverso una sezione solistica del sopracitato Banks, il quale sembra volteggiare tra i tasti disegnando spirali con le note.

La prima traccia del side B è “Robbery, Assault and Battery”. Un brano esplosivo ed incalzante, scandito dai continui switch di tempo e reso divertente dall’interpretazione “scanzonata” di Collins alla voce. L’highlight del brano è sicuramente costituito dall’assolo di synth realizzato da Banks, memorabile in quanto si staglia su una base in 7/4 che evolve mano a mano a livello di tono e di intensità . Un susseguirsi di note al limite del nonsense che, miracolosamente, si amalgamano alla perfezione assieme ai cori, creando un effetto a dir poco spaziale.
Subito dopo troviamo “Ripples”, una delicatissima ballad della durata di 8 minuti scandita dagli arpeggi celestiali dei due chitarristi Rutherford e Hackett, che esprimono le loro capacità  di composizione ed esecuzione. Splendida anche la linea di basso che tiene assieme il brano in sottofondo. A metà  pezzo si cambia registro e si da il via ad un sognante assolo confezionato in puro stile Hackett, composto da un generoso uso della pedaliera che conferisce quel tocco di distorsione sviolinata al suono della chitarra elettrica, ormai diventato iconico.
Arriviamo alla title track e singolo rilasciato dalla band prima della pubblicazione dell’album. “A Trick of the Tail” ci ricorda un po’ i connazionali Beatles: è una marcetta orecchiabile, resa sbarazzina dai cori “doo-wap, doo-wap”.
A chiudere il settimo album dei Genesis c’è “Los Endos”, omaggio alla musica di Carlos Santana. Un brano prettamente strumentale dove le percussioni occupano il posto d’onore andando a creare un’atmosfera tropicale, a tratti quasi tribale. “Los Endos” rappresenta, a mio parere, la chiusura perfetta di un’opera del genere. Nel corso dei suoi 5 minuti e 52 secondi, ritroviamo il leitmotiv dei brani che abbiamo ascoltato in precedenza, come a volerli ripercorrere in breve per poterli salutare degnamente.

“A Trick of the Tail” è una favola che inquieta, fa ridere e piangere insieme.
Una pietra miliare del rock progressivo che entra, a pieno titolo, nella top 5 dei migliori album dei Genesis.

Data di pubblicazione: 2 Febbraio 1976
Tracce: 8
Lunghezza: 51:11
Etichetta: Charisma
Produttori: David Hentschel, Genesis

Tracklist:
1. Dance on a Volcano
2. Entangled
3. Squonk
4. Mad Man Moon
5. Robbery, Assault and Battery
6. Ripples
7. A Trick of the Tail
8. Los Endos