Una linea di nostalgia scorre attraverso tutto l’album di Moderno, “Storia Di Un Occidentale”; una malinconia che nasce dalla consapevolezza di aver perso i propri riferimenti, i propri ideali ed aver lasciato che il nostro mondo divenisse solamente un enorme contenitore di strabilianti aggeggi tecnologici, rabbiosi rigurgiti virtuali affidati a quelle entità  oscure che sono i social-media, un dilagante pressappochismo politico, una spaventosa massa di dati, numeri ed informazioni, tra le quali si nascondono falsità  e menzogne che sono state create ad arte per ripulire le nostre coscienze compromesse e per giustificare tutto il male che facciamo a noi stessi, alle altre persone, all’intero pianeta. Crediamo così di poterci assolvere, ma, in realtà , siamo ugualmente coinvolti, cantava Fabrizio De Andrè ispirandosi alle proteste del Maggio francese; oggi quella tensione sociale, quel desiderio di rivalsa, quella voglia di cambiare sono scomparsi e ci hanno lasciato solo con un bieco e utilitaristico trasformismo.

Ovvio che un mondo così è un mondo senza alcun senso, nel quale il passato è semplicemente una serie di date, di eventi, di nomi, di luoghi, dai quali, però, nessuno ha più voglia di imparare qualcosa. In questa società  alla sbando le melodie di Moderno, con la loro leggerezza pop e le armonie dei synth, tentano di farsi strada tra le nebbiose incertezze che avvolgono le nostre minuscole vite, i nostri rapporti sociali, lavorativi ed affettivi; forse, se ripartiamo dal piccolo, riusciremo a riprenderci le nostre città  (“Roma se ne va”), a riconquistare il futuro attraverso un rinnovato e propositivo interesse per la nostra storia recente (“Non dimenticare”), ad accettare serenamente i temporali dell’esistenza (“S.e.r.e.n.a”), a comprendere che noi non siamo il centro dell’universo, ma una semplice periferia e solamente mettendoci in sintonia con ciò che abbiamo attorno possiamo sentirci completi ed appagati.

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