Non importa ciò che fa; non importa se ciò che produce sia utile o meno o addirittura se produca, effettivamente, qualcosa; la cosa davvero impressionante è la sua capacità  di entrare in sintonia col mondo circostante; la sua capacità  di permanere in uno stato di equilibrio dinamico e di riuscire a smorzare la tensione che accumuliamo quotidianamente, convogliando altrove i nostri pensieri ed esercitando un intenso potere empatico, sia sulle nostre menti, che sui nostri corpi. Esattamente come farebbe un’opera d’arte, la cui grandezza è racchiusa in quell’inutilità  che riesce a commuoverci, a confortarci, a spronarci ad essere migliori.

C’è leggerezza, ma anche voglia di sperimentare nuovi percorsi sonori, di guardare ai grandi cantautori del nostro passato, ma anche a ciò che oggi offre questo contesto globale fortemente eterogeneo e contaminato, nel quale coesistono generi profondamente diversi tra loro e spesso anche geograficamente distanti: indie-folk, sfumature elettroniche, trame classiche, sintetizzatori, divagazioni psichedeliche che saporano di anni Sessanta, la capacità  di far convivere la modernità  con suoni, rumori, innesti strumentali che provengono da un tempo ormai trascorso.

Il tutto senza mai perdere di vista la linea narrativa del discorso, la quale si dispiega lungo tutto l’album, senza appesantirlo di concetti troppo forzati e pedanti, ma mixando, in maniera naturale, impegno e leggerezza, finalità  sociali e musica pop, ampi orizzonti e i caotici spazi delle nostre città , la nostra realtà  con le favole e le filastrocche che continuano a vivere nel bambino che esiste dentro di noi. Alla fine, comunque, ciò che emerge è l’invito ad impegnarsi a rendere migliore questo pianeta; a resistere all’individualismo sfrenato, al facile opportunismo, ad un presente senza alcun futuro e senza alcuna prospettiva, ad un modello economico che vuole spingerci a produrre e consumare senza sosta, diventando, però, sempre più poveri da un punto di vista mentale, sempre più soli, sempre più disadattati ed incapaci di fidarci del prossimo. Ebbene, lo scopo delle macchine inutili di Bruno Munari e dei Lastanzadigreta è esattamente l’opposto, ovvero non produrre nulla che possa essere venduto, comprato, consumato ed alla fine gettato via, ma stimolare ciascuno di noi a pensare, ad emozionarsi nello stare assieme, a sentirsi più convinto delle proprie capacità , senza guardare all’altro come un nemico, un avversario, un competitor, un ostacolo da superare.

Photo: Renzo Chiesa