Dal punto di vista commerciale, la seconda metà  degli anni ’80 fu un’epoca particolarmente felice per l’universo hard and heavy. Fu in questo periodo, infatti, che band come Mötley Crà¼e, Ratt, Cinderella e Poison iniziarono a macinare successi clamorosi, spedendo ai vertici delle classifiche mondiali album in cui l’aggressività  del rock più sanguigno veniva sapientemente diluita con le melodie orecchiabili che tanto bene funzionavano sulle radio e soprattutto su MTV. L’ascesa inarrestabile del canale televisivo fu il motivo per il quale tanti feroci discografici assetati di denaro cominciarono a dare enorme importanza all’aspetto estetico e al look dei loro protetti, infischiandosene altamente dell’effettiva qualità  della musica proposta.

Alle spietate dinamiche del mainstream dovette cedere persino un veterano del metal come Ozzy Osbourne. Non contento di una carriera solista partita in maniera decisamente promettente con tre LP oggi considerati classici (“Blizzard Of Ozz”, “Diary Of A Madman” e “Bark At The Moon”) nel 1985 l’ex cantante dei Black Sabbath, fresco dell’ennesimo percorso di riabilitazione per ripulirsi da alcol e droghe di ogni tipo, si fece cotonare e tingere di biondo i capelli ““ forse con l’obiettivo di somigliare a David Lee Roth? ““ per prepararsi a competere con i nuovi idoli del rock duro, truccati e impomatati come Bret Michaels ma anche sporchi e dannati come Nikki Sixx.

Il restyling “ottantiano” di Ozzy culminò con la pubblicazione di “The Ultimate Sin”, un disco pesantemente influenzato dall’hair metal ““ in una forma non troppo patinata, tuttavia ““ che ancora oggi, a distanza di trentacinque anni, continua a dividere e a far discutere i fan. C’è chi lo ama per i riff e gli assoli spettacolari del virtuoso Jake E. Lee, qui alla sua ultima apparizione di fianco al Madman; c’è chi lo odia più che altro per quel che rappresenta, ovvero l’ennesima sbandata di uno dei pionieri dell’hard rock che si adegua alle tendenze del momento per non rischiare di sprofondare nel dimenticatoio.

Sul versante delle vendite, in effetti, l’album andò molto bene: tre milioni di copie solo tra Stati Uniti e Regno Unito. La critica però non si sperticò nelle lodi a un Ozzy Osbourne malato di giovanilismo che, caduto preda delle sirene del radio-friendly e della heavy rotation, si fece andar bene il sound di grande potenza ma di poca personalità  elaborato in fase di produzione da Ron Nevison. Lo stesso ex frontman dei Black Sabbath ha recentemente riconosciuto i difetti di “The Ultimate Sin”, un lavoro da lui definito privo di immaginazione e monocorde. Un’opera forse persino maledetta, considerando il fatto che l’ultima ristampa su CD risale al lontanissimo 1995.

Eppure, anche in questo povero dischetto malvoluto da tanti e caduto nell’oblio da decenni, è possibile trovare qualche perla. La title track, con il suo ritmo cadenzato e il riffing aggressivo di Lee, è in linea con il materiale oscuro ma melodico degli esordi da solista. “Lightning Strikes” e la hit “Shot In The Dark”, con i loro ritornelli ultra-orecchiabili, sono tra le migliori pagine smaccatamente pop mai scritte dal Principe delle Tenebre. E che dire di “Killer Of Giants”? Una semi-ballad epica e malinconica davvero molto emozionante e intensa, arricchita dai raffinatissimi arpeggi dell’introduzione e dall’interpretazione accorata di un Ozzy in ottima forma. A mio modesto parere, una delle sue canzoni più belle di sempre; da sola vale l’intero “The Ultimate Sin”.

Strepitosa infine la copertina fantasy e ultra-kitsch disegnata da Boris Vallejo, chiaramente ispirata alle tavole del maestro Frank Frazetta: speriamo nessuno si azzardi a toglierla di mezzo o a modificarla, in caso fossero in programma nuove edizioni rimasterizzate.

Data di pubblicazione: 22 febbraio 1986
Tracce: 9
Lunghezza: 40:51
Etichetta: Epic
Produttore: Ron Nevison

Tracklist:
1. The Ultimate Sin
2. Secret Loser
3. Never Know Why
4. Thank God For The Bomb
5. Never
6. Lightning Strikes
7. Killer Of Giants
8. Fool Like You
9. Shot In The Dark