Cat Power nella sua ormai lunga carriera ha saputo evolversi mirabilmente, mostrando al contempo come in un solo cuore possano convivere tante istanze diverse, rimanendo – nel suo caso a maggior ragione – sempre se stessi.

E’ una cantautrice indubbiamente talentuosa, ancora lontana da categorizzazioni, ma sempre in grado di lasciare un segno al suo passaggio, grazie a una personalità  spiccata e a una profondità  d’animo che emerge ad ogni nuova prova discografica.

Ne ha fatta di strada da quando, girovagando per gli States in cerca di una propria via musicale e non solo, si era formata, tra tanti e variegati ascolti e incontri talvolta fortuiti ma che sembravano materializzarsi come segno del destino. Tra questi va annoverato certamente quello con il batterista Steve Shelley (dei Sonic Youth), che con Tim Foljahn (già  nei Two Dollar Guitars), andrà  a costituire il primo solido nucleo dal quale far confluire e partire idee e suggestioni.

Su tutto e tutti però ad ergersi era lei, Charlyn “Chan” Marie Marshall, che poi adotterà  per sempre lo pseudonimo di Cat Power dal nome della sua primigenia band; e lo farà  all’insegna di un connubio autentico di forza e fragilità .

Sono lontani quei tempi a guardarli (e riascoltarli soprattutto) oggi: ben venticinque anni per l’esattezza sono trascorsi dalla pubblicazione di “Myra Lee”, che col precedente Ep “Dear Sir” (partorito nelle medesime sedute di registrazione, avvenute nel 1994), funge da vero esordio discografico della Nostra sulla lunga distanza.

A soli 24 anni la cantautrice ne aveva già  passate tante, e fu chiaro da quei primi vagiti artistici che la sua poetica si sarebbe mossa su binari obliqui, quasi misteriosi, non fosse che in realtà  spesso e volentieri stava attingendo dalla sua sfera personale.

Già  dal titolo in fondo c’è un pezzo significativo della sua storia: quella Myra Lee altro non è che sua madre, con la quale Cat aveva rotto otto anni prima ogni legame e che qui è in qualche modo omaggiata, e forse rimpianta. Il tempo lenisce tutto ma il percorso della Marshall non è mai stato lineare.

Lo si intuisce oltremodo da queste prime composizioni, così grezze, stratificate, eppure allo stesso tempo granitiche e potenti, dal forte impatto emotivo.

Ancorate a una visione musicale da tradurre via via in un rock mischiato col blues, con l’indie e con punte di country, Cat Power è viscerale nel lanciare le sue grida lancinanti e nell’esprimere i suoi sentimenti più intimi, siano essi di dolore, rabbia o disillusione.

Si va così dalla sbilenca (ma minacciosa) “We All Die” all’intensa “Ice Water”, dalla sinuosa “Still In Love” (riuscita e personalissima cover del mostro sacro Hank Williams) alla drammatica “Faces”, fino alla liberatoria (e un po’ dissacrante) “Now What You Want”, assistendo inermi alla composizione e decomposizione di un ritratto vivo e pulsante di donna alle prese con un proprio Io dal quale si vuole fuggire, esorcizzando il dolore più volte con urla e acuti anzichè scenderne consapevolmente a patti.

C’è spazio tuttavia anche per l’introspezione, nei cenni folk che qua e là  emergono tra le canzoni, non dissimili fra loro per mood e appartenenza, ma ci vorrà  del tempo per limare le spigolature e lasciarle vibrare nello spazio libero.

Il tratto magnificamente agreste e introspettivo, notturno e psicanalitico (concedetemi il termine) avverrà  tuttavia da lì a qualche anno con “Moon Pix”, primo suo capolavoro certificato.

Prima però bisognava necessariamente affrontare alcune situazioni irrisolte e sfogare un vissuto che, grazie al potere salvifico della musica, avrebbe fatto meno paura.

Data di pubblicazione: 4 marzo 1996
Tracce: 11
Lunghezza: 46:19
Etichetta: Smells Like Records
Produttore: Edward Douglas

Tracklist
1. Enough
2. We All Die
3. Great Expectations
4. Top Expert
5. Ice Water
6. Still In Love
7. Rockets
8. Faces
9. Fiance
10. Wealthy Man
11. Not What You Want