Se non fosse uscito all’alba del 2021 , sarebbe probabilmente finito nella personale ed annuale top 10 che ho l’onere, ma soprattutto l’onore, di stilare da due anni a questa parte per il nostro amato sito , dato che lo acquistai in anteprima in versione cd a dicembre 2020 (ognuno ha i suoi pusher e non sono tutti veicolo di morte e sventura)

Come minime ma fondamentali informazioni su questo nuovo progetto, pertanto al debutto discografico, non posso esimermi nel raccontarvi che due componenti della band sono artefici dell’ormai consolidato gruppo di matrice hard blues Bullfrog, sinonimo di qualità  e viscerale passione .

Allo stesso modo va segnalata la presenza autorevole del compianto membro fondatore degli Uriah Heep, Ken Hensley nonchè, con nota tutt’altro a margine, la circostanza che la splendida copertina è opera di Rodney Matthews, celebre autorità  in materia.

Progetto di canzone inedite, dopo l’esperienza dei Forever Heep, tribute band degli Uriah Heep e visto il risultato, scelta quantomai azzeccata quella di voler volare con le proprie ali.

Il nome Uriah Heep che emerge ad ogni dove, non rende difficile immaginare su quali coordinate sonore si muova ” A Dream of Fantasy”, memore della mai stanca lezione del miglior hard rock settantiano di matrice inglese, con in testa e nel cuore compagini come Led Zeppelin, Deep Purple, primi Rainbow, Ufo e via discorrendo.

Un album che, a fronte di una endemica mancanza di originalità  (ma chi osa ancora pensare che si debba giocoforza trincerarsi dietro l’appellativo di “nuovo, sperimentale, originale, autentico” per giudicare come meritevole una espressione artistica?) , considerando quali luoghi ed immaginari sonori vengono battuti nell’arco della scaletta, ha numerose qualità  indiscutibili che mi portano a consigliarlo calorosamente non solo agli amanti di sonorità  vintage.

In primis una qualità  alta di scrittura, oltre ad una produzione di respiro internazionale con una resa sonora potente ma al contempo raffinata e cristallina, nonchè le doti strumentali della band, sui cui vale la pena fare un plauso alla chitarra di Silvano Zago, sempre efficace e fantasiosa.

L’album si apre in maniera convincente già  con l’opener “Devil in a dream”, che non avrebbe sfigurato in nessun album dell’era Purple con Steve Morse; in generale accanto a brani granitici come “Blind Light”, “The Ghost of Eveline” o “Pegasus”, spiccano invero le ballate, tra cui vale la pena citare “The day is gone”, dato che il magnetico e sognante riff di chitarra che contraddistingue il brano mi ha fatto letteralmente sobbalzare al primo ascolto, convinto che Blackmore si fosse reincarnato nei primi Rainbow.