è un bel viaggio indietro nel tempo quello che i Melvins hanno deciso di intraprendere con il nuovo “Working With God”, ventiquattresimo album realizzato nel corso di una prolificissima carriera che non accenna minimamente a rallentare. A distanza di otto anni da “Tres Cabrones”, la band del nord-ovest americano richiama il vecchio amico Mike Dillard alla batteria per un ritorno all’essenzialità  degli esordi, facendo difatti risorgere la formazione del periodo 1983-1984 con l’irremovibile Buzz Osborne alla voce e alla chitarra e Dale Crover trasferito al basso.

Tanti saluti quindi alla sezione ritmica allargata e alle tentazioni psichedeliche del precedente “Pinkus Abortion Technician”: “Working With God” è un disco che predilige la semplicità  di un alternative metal vecchissimo stampo pieno zeppo di riferimenti allo sludge, al thrash, all’hardcore, al grunge e all’hard rock. In poche parole: una botta micidiale.

I Melvins picchiano duro e senza remore, regalandoci tra l’altro riffoni davvero pazzeschi. Quelli di “Negative No No”, “Bouncing Rick”, “Caddy Daddy”, “Brian, The Horse-Faced Goon”, “Boy Mike” e “Hot Fish” ““ praticamente ho citato tutti i brani in scaletta ““ sono spettacolari, capaci come sono di innalzare le sorti di tracce che altrimenti avrebbero fatto fatica a lasciare un segno. Dico così perchè purtroppo questo lavoro è un po’ troppo ordinario per poter essere annoverato tra le migliori produzioni di King Buzzo e compagni.

I consueti divertissements inclusi, se non altro, servono a diversificare un minimo la proposta, alleggerendo quindi un piatto decisamente pesante. La cazzonaggine di “I Fuck Around” (rilettura punk e super-volgare della celeberrima “I Get Around” dei Beach Boys), le solari sonorità  “’60s di “1 Fuck You” e le stonature a cappella di “Goodnight Sweet Heart” aggiungono un po’ di ironia a questo vero e proprio monumento alle sonorità  dure, scolpito nella roccia da un trio magari non ispiratissimo, ma comunque compatto e affiatato come non mai.