Sembra non essere ancora arrivato il momento della maturità  per Stevie Knipe e i suoi Adult Mom. “Driver”, il terzo album della band statunitense, suona infatti un po’ troppo acerbo per poter essere considerato una vera e propria delizia. Peccato, perchè in prima battuta la dolcezza che quasi timidamente avvolge queste dieci tracce di indie rock di chiarissima matrice “’90s può persino ammaliare.

Le tenui sonorità  acustiche di “Passenger”, così come la vivacità  pop rock che contraddistingue “Wisconsin”, “Berlin” e la frizzantina “Adam”, godono di un vago sapore nostalgico che non disturba affatto. Tornano alla mente immagini da feste del liceo, cotte adolescenziali e spensierate serate con gli amici, modificate però attraverso un filtro che appiana le imperfezioni e trasforma tutto in musica da patinata commediola romantica.

Forse è proprio la paura di crescere a tarpare le ali di Knipe e delle sue compagne di viaggio (Allegra Eidinger alla chitarra solista e Olivia Battell alla batteria). Con “Driver” non riescono a fare altro che dimostrare di aver ben appreso le lezioni impartite non solo da mostri sacri quali Alanis Morissette e The Cranberries, ma anche ““ e soprattutto, purtroppo ““ da quegli innumerevoli gruppi senza nome le cui canzoni facevano da sottofondo alle scene più smielate di The O.C. e Dawson’s Creek.

La produzione troppo levigata toglie incisività  a brani che, con un pizzico di naturalezza in più, avrebbero sicuramente funzionato meglio: penso alla briosa “Sober”, con le sue leggerissime sfumature elettroniche, e alla cadenzata “Dancing”, che avanza di minuto in minuto al ritmo di robuste schitarrate dal fare quasi minaccioso.

La voce carezzevole di Stevie Knipe disegna melodie dal gusto spesso malinconico, davvero perfette per i toni folk di “Regret It” e “Frost”. Si avverte, nello stile di scrittura e nell’interpretazione, un desiderio genuino di fare bene e toccare le corde dei cuori degli ascoltatori. Ma c’è ancora molta strada da fare: “Driver” è un disco gradevole ma strabordante di clichè.

Credit foto: Daniel Dorsa