Dopo sette lunghi anni, da “Familiars” del 2014, il duo di Brooklin – composto da Peter Silberman e Michael Lerner – torna in scena con un nuovo ed atteso disco, che ci lascerà  assuefatti con ““ a detta dello stesso Silberman – melodie da mattino domenicale.

“Green To Gold” ci trascina in una dimensione placida, distante dagli erompenti trambusti scaturiti dall’inquietudine di “Hospice”.
Per comprendere le ragioni di tale approccio bisognerebbe fare un passo indietro. Posteriormente a “Familiars”, Peter Silberman sviluppò un tinnitus ad un orecchio, compromettendogli l’udito, portando, di conseguenza, anche a lesioni alle corde vocali.
Una disgrazia che stava per indurre Silberman ad appendere, definitivamente, la chitarra al chiodo. Per nostra fortuna, non è andata così. Il cantante e polistrumentista degli Antlers, alla fine, è riuscito a ben convivere col problema, finendo per sovvertire il suo stile di vita, allontanandosi dal caos urbano del Brooklin e abbarbicarsi in un ambiente più tranquillo nell’entroterra.
Un cambio di rotta verso un vivere più flemmatico, che si farà  sentire, soprattutto, nel suo modo di concepire e comporre la musica. Un processo udibile sin dai suoi ultimi lavori solisti; ergo, con l’EP “Transcendless Summer” del 2016 e con l’album “Impermanence” del 2017.

Dietro la genesi del nuovo disco degli Antlers c’è anche altro: Penso che il cambiamento di tono sia il risultato dell’invecchiamento – afferma Silberman – Non ha senso per me cercare di attingere alla stessa energia di dieci o quindici anni fa, perchè continuo a crescere come persona. Sono sicuro che lo stesso valga per il nostro pubblico.

Ma, adesso, andiamo più in profondità .
“Gold To Green” è un’albescente letargia che – con i suoi leggiadri rintocchi bucolici – designa placidi ruscelli, crepuscoli di mezza stagione e campi di frumento accarezzati dal sole.
Un lento ambient folk/country, adagiato su un’amaca legata tra due aceri purpurei, dalle melodie rugiadose e mai brusche; ma, comunque, trasudate da un certo brio amarognolo.
La voce di Silberman sussurra su chitarre limpide e pizzicate delicatamente, languidi piani, pedal steel e svariati strumenti orchestrali in pieno stile chamber pop (archi, flauti, corni”…).

Spesso e volentieri, il bruire delle ultime vibrazioni dei brani si dissolve tra i campionamenti dei suoni di madre natura. Direttamente dalla sua nuova dimora, Silberman immortalerà  il frinire delle cicale, i cinguettii, l’ondeggiare del mare e il fruscio delle piante; il che, indubbiamente, favorirà  l’imboscamento ascetico dell’ascoltatore.
I testi e le parole gravitano intorno a delicate riflessioni esistenziali: dai limiti umani e l’accettazione dell’impotenza umana dinanzi al disegno della vita, sino alla realizzazione delle grandi piccolezze della quotidianità  e della beatitudine del sentirsi a casa.

Non vi rimane altro che chiudere gli occhi.

Credit Foto: Shervin Lainez