“W.L.” nient’altro sta che per West Lothian, contea scozzese da cui (Whitburn, per l’esattezza) vengono Jack Cochrane (voce/chitarra), Joe McGillveray (chitarra), Callum Wilson (basso) e Jordan Mackay (batteria): i The Snuts.

Noi, bravi come siamo, li avevamo già  intercettati a fine 2019 con “Juan Belmonte” e, dopo il loro primo EP “Mixtape” ed essere finiti pure nella colonna sonora di Fifa21 di casa EA Sports con “Always“, eccoli al loro esordio sulla lunga distanza.

Sia chiaro, quando la Warner tramite la sua controllata Parlophone Records ti mette gli occhi addosso il prodotto le sue qualità  le deve pure avere: le major non si muovono mai per caso. E pure il pubblico ci ha messo la sua, con “Mixtape” che è volato in cima alla classifica scozzese raggiungendo poi un incoraggiante quattordicesimo posto in quella britannica.

Tornando all’album, il varco viene aperto da “Top Deck”, carezzevole nell’acustica a contrastare un cantato intenso e struggente, prima del cavallo di battaglia “Always” (il cui riff continua a ricordare troppo “Otra Era” della cilena Javiera Mena) e di altre due vecchie conoscenze: “Juan Belmonte”, un magnetico blues rock che richiama alla mente i The Black Keys, e l’adrenalinica “All Your Friends”.

E fino a qua, pro: ottima resa; contro: originalità  sotto i tacchi.

Se l’ultimo estratto, la solare “Somebody Loves You”, è quantomeno evitabile (pare una b-side dei Train), i bagliori e l’energia di “Glasgow”, uno dei primi pezzi della band, gli sono certo superiori (ma anche in questo caso le assonanze con i Kings of Leon non possono dirsi inappropriate).

Siccome tutto è comunque studiato a puntino, il 4/4 regolare di “No Place I’d Rather Go”, col suo furbo grado di pop anthemico, ci riporta su frequenze più sentimentali, tra cori e violini. Stessa missione della delicata “Boardwalk”.

Cerca di riattivare i nervi la fresca e radio friendly “Maybe California”, per allargare il ventaglio ecco il garage-punk forzatamente sciatto di “Don’t Forget It”, la incalzante “Coffee & Cigarettes” (che sta alla band come “Someday” sta ai The Strokes) e il pop-rap (?) di “Elephants”. E via, ancora sul sentimentale in chiusura con l’emozionale “Sing for Your Supper”.

Ripetiamo: originalità  al minimo sindacale. Resa più che buona, tutto è studiato ed è esattamente lì dove deve stare in un album pop che si finge rock. La voce di Jack Cochrane è valida e poliedrica, la band maneggia la materia e sa cambiare abito con scioltezza, la chitarra è sempre lo strumento principe, in cima alla gerarchia insieme al cantato. Purtroppo la sensazione di trovarsi di fronte ad un prodotto commerciale resta alta. I numeri daranno ragione ai The Snuts. Ma a noi che avevamo seguito la band fino dai primi vagiti, “W.L.” non soddisfa quanto avremmo voluto.