<Non pensavo ci avrei messo così tanto> dice James Allan, ormai de facto padrone di casa Glasvegas (scrive, produce, registra),  che torna dopo ben 8 anni con questo quarto album in studio, “Godspeed”.

I Glasvegas sembravano destinati ad essere dei nuovi portabandiera dell’indie rock britannico, quando Allan appese le scarpette al chiodo (perchè davvero era un calciatore di buon livello) per dedicarsi alla musica. Ma le attese non sono mai state appieno ripagate, ed ecco che le vendite, i premi ed il successo dell’esordio hanno preso la forma dell’episodio sporadico, delle promesse non mantenute.

Peccato, perchè poesia e qualità  non sono mai mancate al buon James e questo “Godspeed”, un concept album notturno, oggetto un viaggio in macchina del protagonista senza particolare meta, ce lo ricorda.

Il reticolato è quello di un excursus sperimentale e nervoso, decadente e malinconico, disturbato da impulsi sintetici ma che ha trova le sue ottime aperture in termini di epicità : si prendano pezzi come “Keep a Space” o l’asfissiante spoken che deflagra in “Shake The Cage (Fà¼r Theo)” – scelta dall’amico Alan McGee   per far parte del proprio film biografico “Creation Stories”.

Gli echi anni ’80 cari a gente come Echo and the Bunnymen fanno sempre parte del DNA artistico di Allan: l’intensa “My Body is a Glasshouse (A Thousand Stones Ago)”, tra piano e violini su uno sfondo di fuzz e pulsazioni, è un piccolo gioiello. Ci sono poi le emozioni riverberate e luccicanti di “In My Mirror”, la sezione ritmica serrata di “Dying To Live” lacerata dalla tagliente chitarra elettrica, a mettere in mostra una fattura eterogenea ma riuscita, dove la penna del glaswegian eccelle per cura e sentimento. Chiudono i giochi l’autunnale “Stay Lit” che si snoda su un pizzicato acustico e la titletrack,  un effettato ed atmosferico commiato adornato attorno all’accorata parte vocale.

Probabilmente “Godspeed” non passerà  alla cassa e nemmeno alla storia, ma ci riconsegna un James Allan che ha ancora qualcosa da dire e da dare: per appendere le scarpette al chiodo, stavolta, c’è ancora tempo. E che nel viaggio,  Dio l’aiuti.