è di nuovo venerdì e seguendo la traiettoria del volo di un moscone – dal ronzio più emozionante di tante cose sentite ultimamente – ho percepito l’esigenza, da parte dell’Universo, di sapere (anche) la mia sulle ultime pubblicazioni musicali del Belpaese; è per questo che, signore e signori, ho deciso di comunicare urbi et orbi il mio bollettino del giorno sulle nuove uscite del pop italiano. Sì, quel tragico, ribollente pentolone traboccante degli sguardi impietosi di chi dice che la musica nostrana fa schifo, di chi “parti Afterhours, finisci XFactor“, di “Iosonouncane meno male che esisti“, di “Niccolò Contessa ma quando ritorni“, di Vans, libri citati mai letti e film repostati mai visti che ogni venerdì rinfoltisce la sua schiera di capipopolo di cuori infranti con una nuova kermesse di offerte per tutti i gusti e i disgusti. Ecco, di questo calderone faccio parte come il sedano del soffritto, quindi non prendete come un j’accuse quello che avete letto finora: è solo un mea culpa consapevole ed autoironico – ridiamoci su! che una risata ci seppellirà , per fortuna, prima o poi – a preparare lo sfortunato lettore alla breve somma di vaneggi e presuntosi giudizi che darò qui di seguito, quando vi parlerò delle mie tre uscite preferite del weekend, e della mia delusione di questo venerdì. Sperando di non infastidire nessuno, o forse sì.

SPECIALE GREEN SELECTION

MOCA, Falchi

I Moca sono forse la mia band preferita italiana del momento (il forse serve solo a lasciarvi quel minimo “beneficio del dubbio” utile a permettermi di parlare dei ragazzi senza sembrarne completamente fan sfegatato) e dovrebbero essere anche la vostra. “Oplà  Vol.1“, il semi-disco d’esordio uscito in piena pandemia (2020) e spezzato in due parti per attendere, vien da credere, giorni migliori e più luminosi per pubblicarne la seconda parte, aveva lasciato nella bocca di tutti la sensazione che il quartetto spezzino volesse gettarsi alle spalle (pur senza dimenticarne la gloria) un percorso artistico marcatamente itpop, che bene o male li aveva fatti conoscere tramite hit virali come “Relazionatore” o “Bailamme”; in effetti, “Un giorno intero”, il loro ultimo singolo prima di “Falchi”, sembrava preannunciare una svolta “cool” che oggi prende forma in tre minuti scarsi di completa imprevedibilità  musicale, con melodie che si avvicinano all’r&b attraverso il trampolino di un’orchestrazione felice, facendo della “contaminazione” la propria parola d’ordine di un brano mellifluo e onirico: il volo del pappagallo sta tutto qui, nel non smettere di sognarsi falco. Nella grande voliera del mercato italiano, i Moca sembrano avere tutte le carte in regola per farsi rapaci, abituati – come sono – a fare il nido nella tempesta. In attesa di un volume due che ci faccia volare.

LE NOTTI BIANCHE, Una canzone che ti piace tanto

Te lo dicono loro, mettendoci la faccia. Sì, quella delle Notti Bianchi è la nuova canzone che ti piacerà  tanto, più dei tre quarti di melma musicale in cui anche oggi, come ogni venerdì, s’annega il pensiero mio e no, il naufragar non m’è per niente dolce in questo male. Per fortuna, il duo campano rimette le cose a posto con un brano dichiaratamente anni Ottanta, sì, ma ben confezionato e approntato per diventare tormentone: le immagini bucoliche del testo richiamano all’adolescenza di tutti, fatta di fughe in macchina e di sigarette fumate di nascosto dagli occhi di madri sempre sveglie; “Una canzone che ti piace tanto” parla d’amore, ma lo fa senza la pesantezza della retorica quanto piuttosto con il piglio dello scanzonato stornello. Ben inteso, di lacrime ce ne sono eccome; ma qui sono più dolci che altrove, e meno melense che mai.

SIBODE DJ, Non lo so (album)

Abbiamo conosciuto Sibode qualche settimana fa, quando all’uscita di “Suko” ci aveva fatto capire che fare delle domande a chi le risposte è abituato a darle manomettendo ogni tipo di filtro (se non quello che, deliberatamente, l’artista pone tra sè e il suo “personaggio”, anche se so che a lui questa parolina – “personaggio” – farà  incazzare non poco) può risultare ostico in un contesto giornalistico o pseudo-tale che fa dell’edulcorazione il proprio mantra: anestetizzare diventa impossibile con chi, come Sibode, non si lascia facilmente vincolare a camice di forza e a domande fatte con lo stampino; ecco perchè ascoltando il suo disco d’esordio “Non lo so” (e già  il titolo apre la sua buona quantità  di dubbi socratici) mi sono asciugato il sudore pensando “ok, a “‘sto giro al massimo una recensione, niente intervista, tranquillo Manuel”. Il problema è che, una volta entrato nel loop ipnotico delle dodici tracce di “Non lo so“, una sola domanda non può che affiorare alla mente, ovvero: “come uscirne?”. Il primo lavoro solistico di Simone/Sibode è una giungla musicale fatta di suoni ipnotici, rigurgiti sinfonici, deliri elettronici e insomma tutta questa scorta di cose che, se uno ha ascoltato solo “”Suko”, in realtà  non si aspetta: la tracklist trasuda una “serietà ” che nulla a che vedere con il formalismo, ben inteso, ma piuttosto con l’importanza che l’artista sembra dare al rispetto, doveroso, nei confronti di chi lo ascolta; e se pensate che la cosa sia scontata, andatevi a sentire uno qualsiasi dei dischi d’esordio usciti oggi. Sibode si diverte e fa divertire, attraverso una scelta che è etica, prima che estetica: contro le aspettative di tutti, l’artista emiliano tira fuori un qualcosa che non ti aspetti ma al quale non riesci comunque a resistere, perdendoti nel solo apparente “non-sense” di chi ha raccolto la lezione di Freak Antoni facendone qualcosa di più sensuale, sessuale, impegnato. Perchè ci vuole un impegno gigantesco, a disimpegnarsi con qualità .

FEDERICO FABI, C’eravamo quasi (album)

L’abbiamo chiamato, un paio di settimane fa, e lui ha risposto oggi pubblicando un disco che, nei tre singoli inediti che completano – al netto dei lavori fin qui pubblicati – la tracklist di “C’eravamo quasi“, conferma quanto di bello avevo fin qui scritto di Federico Fabi, la nuova scommessa di Asian Fake che sta facendo impazzire un po’ tutti – anche il sottoscritto. Sette tracce che mescolano il britpop al cantautorato di prima generazione (quello che insomma ricorda più Gino Paoli e Luigi Tenco che De Andrè o De Gregori), nascondendo echi di Velvet Underground (“Istruzioni per Noemi”) e di R&B fatto con gusto deliziosamente italiano; la vocalità  esile di Fabi aiuta a restituire la giusta leggerezza ad un disco denso, ben scritto e ben pensato. Confidiamo solo che, come canta lo stesso Fabi, l’ego in giusta crescita del cantautore non lo porti a “darla vinta” ai detrattori di turno, continuando a resistiture al pubblico musica “Al Dente”, che ci faccia baciare sulle note di “C’eravamo quasi” senza paura alcuna di raffreddori più o meno stagionali. Pezzo preferito: “Solo più solo di prima”.

LISTANERA – FRANK PAST, Lucertola

“Lucertola” è il secondo singolo all’attivo per l’inedita partnership tra Listanera e Frank Past, che dopo “Polvere” consegnano alla storia smemorata del web un’altra occasione utile per appigliarsi a qualcosa che duri, e che resista all’usura dello streaming-flow. La scrittura delicata di Frank, che per vocazione ricorda cose ben lontane dall’omogenizzazione pop degli ultimi dieci anni, si muove su immagini precise che aiutano l’ascoltatore, tramite la guida sensibile della voce di Listanera, a riconoscersi nei cocci di vetro che il duo offre; le melodie non ammiccano a nulla e a nessuno: una canzone d’addio, come direbbero loro, che deliberatamente vive solo del supporto di una chitarra struggente, a mò di spalla che la musica offre al pianto dei protagonisti. Il ritornello è una carezza che diventa mantra, nella litania sentita della sua poesia: rinascere, in qualche modo, significa accettare la propria fine, non più come una sconfitta ma come un’imperdibile occasione. Essere lucertole, per sopravvivere all’estinzione dei dinosauri. Bravi, mi siete piaciuti.

MATTEO FARGE, Limoni

Buon pezzo quello di Farge, che sceglie la dimensione della live-session per il suo nuovo brano “Limoni” in semifinale al Tour Music Fest, mescolando fra loro ascendenti diversi che affondano, tutti, le radici nel prolifico terreno della canzone d’autore; echi gucciniani si mescolano a citazioni di Battiato, mentre De Andrè fa capolino qua e là  da un testo ben scritto e valorizzato dalla genuina intenzione di un cantato libero e finalmente svincolato da “condizioni, pose e posizioni” (per dirla alla Morgan). Un brano di qualità , insomma, che ci ricorda che l’imperfezione, talvolta, è la più tangibile comprova dell’unicità  artigianale.

WALTER DI BELLO – A SMILE FROM GODZILLA, My Age

Che bel pezzo, quello di Walter di Bello in collaborazione con A Smile From Godzilla, tutto all’insegna del folk e di echi britpop che ricordano un po’ Bon Iver, un po’ Sufjan Stevens; l’amicizia tra i due, nata tempo fa sotto e sopra il palco del Meeting del Mare, ha trovato in “My age” la possibilità  di rinfocolare le proprie mai sopite braci: il cantato è struggente, valorizzato dal gusto di una produzione artistica mai invasiva, capace di lasciar levare alto il canto del cigno di chi ha capito che certe cose vanno, e che accettarlo non può che essere una vittoria. Timbriche ricercate per una scrittura sincera che non inciampa nella mediazione linguistica dell’inglese: anche se siete – come me – sprovvisti di una qualsivoglia comprensione della lingua, non preoccupatevi. Perchè, per fortuna, certe cose si sentono prima ancora di essere capite.

FLORILEGIO, Tende

Mica male il primo singolo di Florilegio, nuovo moniker musicale di Matteo Polonara; “Tende” apre la vista su panorami inaspettati, ma capaci di tutelare l’identità  artistica di un progetto cantautorale coriaceo, “old school” per l’impegnata e ostinata difesa di un valore poetico che – oggi più che mai – necessita di essere tutelato attraverso una ricerca di contenuto che possa farsi “estetica eticamente corretta”. Sì, perchè di fronte all’ondata sempre più violenta di musica impegnata a disimpegnarci, abbiamo un disperato bisogno di artisti che cerchino di alzare l’asticella senza cadere nelle derive dell’emulazione o del frivolo sperimentalismo; insomma, artisti capaci di fare quello che prova a fare Matteo, che con “Tende” dimostra tutta la sua fiducia nell’intelligenza del pubblico proponendo un mix di contaminazioni che spaziano da Mac Demarco a Colombre, da De Leo a Ghemon passando per una buona dose di sacrosanti “anni Settanta” sul ritornello.

HEY CAROL, Punch

Bel piglio quello di Hey Carol, che a tratti ricorda i FASK prima maniera – e quindi, la miglior versione del gruppo umbro – senza però farci per questo perdere la voglia di arrivare fino in fondo a “Punch”, il loro nuovo singolo. “Punch” diventa un titolo che pare condensazione di ciò che il brano vuol comunicare: un pugno nello stomaco preso con il sorriso di chi sa di avere un cuore di ghiaccio e un fegato di ferro, resi tali dall’asperità  di una vita troppo spesso violenta per chi fa della fragilità  il proprio vessillo esistenziale. Buoni stacchi ritmici e bel muro di suono; forse, a tratti, il fantasma di Aimone e soci aleggia un po’ troppo prepotentemente su un brano comunque ben scritto. Aspettiamo conferme circa un’identità  musicale alla ricerca di sè stessa, sì, ma sulla buona strada per trovarsi.

MATTIA BONETTI, Bambina coi push up

Bonetti è un cantautore vecchia scuola, e sembra aver fatto di tale naturale inclinazione ad un certo tipo di “ricerca contenutistica” il fulcro centrale della sua produzione, totalmente autogestita artigianalmente, come si confà  ad un vero demiurgo della canzone. Dopotutto, Bonetti è cresciuto – e si sente – a pane e Guccini e De Andrè, numi tutelari di una scrittura delicata, immaginifica quanto concreta nel suo riferirsi ad una tangibilità  spesso dolorosa; nel suo ultimo singolo, Bonetti spazza via la polvere dall’omertà  con la quale si finisce col dimenticare, troppo spesso, tutti quei figli che, “se non sono gigli”, son pur sempre “vittime di questo mondo”: “Bambina coi push up” è una chiamata laica alla redenzione di tutti, utile a svincolarci dai paraocchi che celano troppo spesso le abbaglianti sfumature di un mondo che dobbiamo, a tutti i costi, re-imparare a leggere.

CLAIREDEMILUNE, Dietro le spalle

Leggero come le prime brezze estive che stanno cominciando a soffiare, alternandosi a temporali ruggenti, sulla penisola il nuovo singolo di Clairedemilune, che con “Dietro le spalle” tonifica i muscoli in previsione di un’estate che, si spera, tornerà  a regalarci occasioni per incontrarci davvero, magari sotto qualche palco. Il piglio giocoso del brano prende per mano l’ascoltatore e lo coccola attraverso la semplicità  di un testo che sa di filastrocca per eterni bambini, decisi a lasciarsi dietro gli oneri di una maturità  che non vuol diventare prigionia. La ragazza ha una buona vocalità , con un pizzico di “carattere” in più potrebbe davvero spiccare il volo. Di tempo, certamente, ce n’è.

EMPATIA, La tentazione di essere felici

Primo singolo per Empatia, cantautrice scuola robadamatti dischi, che mette subito le cose in chiaro con il futuro pubblico ostentando un certo gusto pop anni Duemila che, con naturalezza, la avvicina alle grandi interpreti femminili italiane; il timbro è ruggente, magari con qualche sfumatura di “ricalibrare” reindirizzando il tiro del cantato, ma il risultato rimane comunque ottimo. Il testo presenta, indubbiamente, spunti interessanti, convincendoci quanto meno che il meglio debba ancora venire. Intanto, buon esordio.

MAKY FERRARI, Haters

Schiaffo in faccia (ma con il piglio della carezza, perchè l’odio non appartiene a Maky) a tutti i leoni da tastiera che fanno i bulletti trincerandosi dietro un’invidia e una repressione troppo evidenti per non suscitare tenerezza e compassione. Il cyber bullismo è probabilmente il lascito più deformante di una contemporaneità  che ci ha abituato alla possibilità  di trincerarci dietro il social di turno per dar sfogo alla frustrazione di una umanità  in decomposizione, avviata prepotentemente verso la medializzazione di sè stessa all’insegna di una libertà  d’espressione che più che democratica, oggi, pare tristemente demagogica. Maky Ferrari non toglie la parola a nessuno, ma mette a tacere tutti con un brano estivo ed impegnato. Che connubio raro, eh?

GIULIO CAZZATO, La mia sola libertà  (album)

Di Giulio Cazzato avevamo parlato, recentemente, in occasione dell’uscita del singolo che anticipava, appunto, “La mia sola libertà “; il titolo dell’album, in effetti, sembra già  essere viatico all’ascolto di un disco che sa di manifesto, di liberazione personale: sette tracce dense, coriacee e coese che rendono alla perfezione il piglio rock naturale di un autore ispirato, abile non solo a scegliere le giuste parole ma anche ad incastrare nel modo più musicale possibile. Echi di Subsonica e Radiohead si mescolano nella texture cantuatorale di un progetto eclettico, ben deciso a fondere rock ed elettronica nel percorso variegato di una tracklist densa, e finalmente impegnativa. Che è l’ora che ognuno si ricordi che la nostra sola libertà  sta nel riappropriarci, da ascoltatori, della musica chetale, tutelandola e proteggendola dalle ingiurie spietate di questo tempo.