Deve essere stata una circostanza astrale quella del 1996, quando il caso forse ci concesse la pubblicazione di due album fondamentali per l’allora presente e futuro del metal, quel “Roots” dei Sepultura, recentemente osannato su queste sponde e questo “The Great Southern Trendkill” dei Pantera, come eravamo fortunati noi, 25enni forse già  diventati a nostra insaputa mainstream ad ascoltare il post grunge, forse per questo aperti verso territori più impervi, a riconoscere anche in generi apparentemente lontani espressività  non omologate, ispirazione e attitudine alternativa, prova di coraggio e originalità  nel messaggio.

Anche nel metal, qui in questo album come nel coevo brasiliano citato, con un dirompente effetto fuori dal circuito di adepti capelloni della prima ora, dalle derive sdolcinate fine Gun’s’Roses   alle provocazioni di Kobain e soci, pronti a esaudire milioni di tripudianti fan inconsapevoli, pronti e affamati di nuova scossa, che trovarono in parte quasi naturalmente in questa nuova veste che il metal utilizzò a cavallo degli anni 90.

Insomma, basta ricordare che il colpo grosso per i Pantera viene dopo il già  discreto successo del precedente “Far beyond driven” ma con questo “TGST” siamo all’ottavo album di una band che fatalmente stava attraversando un periodo fragile, soprattutto in relazione alle dinamiche esterne del cantante Phil Anselmo impegnato musicalmente (e non solo…) in numerosi progetti collaterali (Down, Nola, etc..); quindi in sostanza, un punto di non ritorno, un disco nato dalla perseveranza e dal contingente combaciare delle diverse anime dei componenti del gruppo, mai così diviso e in bilico, come i giorni che precedettero la sua incisione.

Ancora oggi questa opera rimane un unicum a due teste, da una parte la parte strumentale con il grande Dimebag e soci nella migliore prova della loro carriera in termini di capacità  tecnica e virtuosismo che riuscivano a imprimere alle canzoni, comprimendo nella assurda velocità  di certe parti riff e sezione ritmica comunque strabilianti anche per intensità  e calore bianco: dopo 25 anni rimane la stessa sensazione di incredulità  di fronte all’abilità  esecutiva di alcuni passaggi della band, come in “War Nerve”   o “Suicide note Pt. II” in un vortice di lacerante impatto, senza pause, con stacchi azzerati , chitarre lancinanti, stop and go continui, come se si dovesse suonare una fantasmagorica carica post hard core all’assalto della teenage angst anni 90, ed in certi suoni sembrano proprio della canzoni di guerra, motivate da uno spirito quasi aggressivo, di lotta implosa dentro la struttura di una canzone. Gran parte del merito dal punto di vista musicale va riconosciuto al formidabile lavoro della chitarra  dello sfortunatissimo Darrel Dimebag, onnipresente, con questo suono distorto aperto, una lama digrignata, totalmente e fieramente ancorato al periodo d’oro del metal delle origini, genuino e non artefatto, che traduceva la sua abilità  proprio nella capacità  di adattamento ai diversi mood dell’album, oltre che come detto alla produzione di riff che rimarranno nella storia dell’heavy metal siffatto, facendo riconoscere a volte una devozione evidente verso la tecnica di Eddie Van Halen, a volte intarsiando i brani semplicemente con l’effetto doom.

E poi c’è Phil Anselmo, qui stratiforme, come un lottatore con impeto animalesco capace di dominare le infuocate sessioni dei compagni (che si dice gli abbiano mandato già  il suonato bello e fatto così per permettergli di cantare a distanza, non proprio un periodo di sfrenata amicizia…) alternando growl a scream, facendo impazzire l’asticella della sopportazione nelle urla come quella famosissima dell’incipit della title track, in una prova in “TGST” enorme, specchio di una vita bigger than life, di una voce che prende canzoni già  piuttosto debordanti e le schiaffeggia con violenza sovrannaturale oppure le cinge a tratti con voce calda e ammaliante di uno sporco blues del Sud (“Suicide Note pt. I”): perchè qui sta il vero plus del cantato di Anselmo e di tutta l’operazione “TGST”, non solo metal per palati futuristici, ma anche l’impasto southern di derivazione post blues che la collaborazione ad esempio con il supergruppo Down da lì in poi avrebbe dato ulteriori sviluppi, un Anselmo feroce ma profondamente legato alla sua New Orleans drogata ma malinconica e riflessiva (“Flood”), dotata di un feeling bianco ma intrecciato con la tradizione black, che sa di appartenenza e ancora il metal ad una dimensione terrestre, anzi territoriale fatta di emozioni e vita palpabili.

A testimoniare questo connubio duplice, fra musica e voce, tra gruppo e leader ci sono ovviamente le canzoni, alcune splendide, quelle che non avresti detto: oltre le tempeste di rumore già  menzionate, spiccano ballate hard intense come le già  citate “Suicide part I” e “Flood” ma la migliore per me resta “10’s”: Anselmo in un’interpretazione ispirata e profonda, con questa voce roca empatica (“My foes, they can’t destroy my body”), sofferta ed emozionante, un cantato ed una struttura della canzone ma anche della rabbia espressa almeno nella prima sua metà  che potrebbero uscire direttamente da “In Utero” dei Nirvana; poi ad un certo punto parte l’assolo di Dimeride, forse quello più riconosciuto, intro in arpeggio, suono pulitissimo e caldo, immerso nel hard rock americano migliore, con doppia chitarra finale alla Metallica, giusto per non farci mancare niente e a ricordare che siamo anche figli di quella roba lì.

Dopo tutto questo i Pantera non furono più gli stessi, non furono più cosi ricettive neanche le esigenze del mercato,   non ci sarebbe stato più neanche il momento per una cosa come “The Great Southern Trendkill”, tanto che oggi sembra un mezzo miracolo, un risultato di una tensione irripetibile.

Pubblicazione: 22 maggio 1996
Durata: 53:10
Genere: metal
Etichetta: East West Records
Produttore: Terry Date
Registrazione: 1995-1996, Nothing Studios, New OrleansT

Tracklist:
1.The Great Southern Trendkill
2.War Nerve
3.Drag the Waters
4.10’s
5.13 Steps to Nowhere
6.Suicide Note Pt. 1
7.Suicide Note Pt. 2
8.Living Through Me (Hells’ Wrath)
9.Floods
10.The Underground in America
11.(Reprise) Sandblasted Skin