Profondo, insistente, cupo quanto basta, entra in testa radicandosi nella nostra memoria la terza fatica dei Facs, trio di Chicago formato dall’ex batterista dei Disappears, Noah Leger, dalla bassista Alianna Kalaba (che ha lavorato con Cat Power) e da Brian Case (chitarra, voce).

“Present Tense” è un disco mastodontico, un album che si districa tra post-punk, noise rock ed industrial con una mirabile perfezione, dove ogni singola struttura dei brani si riverbera in un’alternanza di suoni e distorsioni come poche in questo semestre è stato possibile ascoltare.

Registrato tra gennaio e novembre del 2020 presso il noto studio Electrical Audio Recording di Steve Albini  con il ricercatissimo produttore Sanford Parker (Minsk, Nachtmystium, Corrections House, Twilight, YOB, Blood Ceremony) – e mixato da John Congleton per poi finire nelle mani di  Matthew Barnhart per la masterizzazione al Chicago Mastering Service – il terzo album sulla lunga distanza dei ragazzi della windy city  fa seguito agli ottimi predecessori, “Negative Houses” del 2018 e “Void Moments” del 2020, con i quali condivide le inquietanti e crepitanti sonorità  tracciate fin ora dal power trio.

Gli episodi sono sette ed i minuti poco più che trentacinque nei quali è davvero arduo scegliere la melodia preferita, con l’entree affidato alle note tenebrose di “XOUT”, che si attesta su di un pattern di matrice gothic e che conduce, con i suoi fuzz finali, alla successiva “Strawberry Cough” nella quale si innestano, superbi, elementi elettronici che trasformano i cinque minuti in un viaggio onirico sospeso tra noise e psych rock laddove, invece, i ben nove minuti di “Alone Without” commutano il viaggio in un incedere lento e doloroso avvolto nel clatter più oscuro che mai.

La qualità  è immensa, le note si srotolano fino alla middle track “General Public” – contornata da un mood psichedelico ed ossessivo di Gang Of Four memoria (come dichiarato anche da Brian Case) – che solo apparentemente sembrano “addolcirsi” nello spoken word della “postpunkiana”   “How To See In The Dark”.

Nulla è lascito al caso, tutto è incastonato in una sequela di arrangiamenti di caratura elevatissima che fanno scopa con l’eccellente produzione per un album destinato ad essere candidato come tra i migliori dell’anno, di sicuro il miglior disco del semestre a parer mio.

L’affascinante title track ripercorre il climax intenso ed accorato che ha segnato il letmotiv dell’intero album scandito dalle parole di Case, pronunciate con il medesimo pathos affranto: “All life remains kneeling in love/Remain kneeling in love” (“Tutta la vita rimane inginocchiata innamorata/Rimani in ginocchio innamorato”), mentre a calare il sipario su questo incredibile è stata chiamata l’irrequieta closing track “Mirrored”, nella quale si rinviene un mash up tra noise e post-grunge, soprattutto nel finale del brano.

Che disco!

Photo credit: A.F. Cortes