St. Lenox è al quarto album ma posso candidamente confessare che non avevo mai sentito parlare di lui. Finalmente, girovagando in internet alla ricerca di qualcosa di stimolante, mi sono imbattuto in questo singolare songwriter, una vera scoperta che mi ha regalato un ascolto veramente divertente.

St. Lenox altro non è che che il progetto dell’artista Andrew Choi che si fa accompagnare ogni volta da musicisti diversi e che con “Ten Songs of Worship & Praise for Our Tumultuous Times” pubblica il suo quarto lavoro nel quale, con la sua lirica incisiva ironica e sofisticata, con toni autobiografici e una semplicità  unica, riesce a fare centro.

Dal punto di vista musicale gran parte del lavoro privilegia l’uso del piano, di sintetizzatori e organi, accompagnati dalla sua ottima e coinvolgente voce , che spesso riempie in maniera totale i vari brani e ben si abbina anche ai testi nei quali affronta tematiche religiose ed esistenziali, con un atteggiamento di semplificazione filosofica, nei quali il vivere quotidiano si alimenta di riflessioni profonde e complesse: Andrew Choi lo fa con una semplicità  di scrittura affascinante, divertente e a tratti commovente, una capacità  unica e incisiva che fa riflettere ma allo stesso tempo fa sorridere.

Per fare qualche esempio il brano di apertura “Deliverance” affronta il tema della morte o meglio di come ci tocca subire il tema della morte, riuscendo ad unire in un unico brano credo   religioso, superstizione e aspetti relazionali, smontando pezzo dopo pezzo “l’evento morte” nel quale il momento religioso diventa rituale.

In modo ironico canta ” .. Sono stato fortunato nella vita a non avere mai qualcuno vicino a me che è morto Ma ora che ho 40 anni, nel bel mezzo della mia vita Parliamo di cose come tasse ed eredità  Argomenti seri per un fresco avvocato Non istruito nella poesia pesante della religione..” e ancora aggiunge “..Non sono mai stato un grande fan della religione Da quando sento che la chiesa ha perso la sua bussola E dopo il liceo penso di aver bisogno di un po’ di tempo nel deserto per me stesso Ma poi cammino vicino a una cattedrale in silenzio Pensando alle cose come Dio e l’universo E un ateo può ancora entrare in paradiso? E Dio ricompensa la virtù in natura con la Felicità “, riflessioni che nascondono il dilemma dell’ateo che vorrebbe credere e in fondo spera di sbagliarsi, ma allo stesso tempo si accorge che il suo modo di vedere il limite della propria esistenza è la sua unica religione possibile.

I testi sono immediati ed espliciti ma non negano all’ascoltatore la possibilità  di effettuarci dei ricami sopra e leggerci altro, come avviene per l’ottimo brano “Arthur is at a Shiva” .

Shiva nell’ebraismo è un periodo di lutto che dura una settimana dopo la morte di una persona cara. In questo periodo i visitatori si recano presso la casa del defunto a rendere omaggio, la parola “shiva” significa infatti sette, cioè i giorni di lutto in cui le persone devono sedersi a terra.

Andrew Choi con tono ironico ci racconta di una festa dopo il lavoro e di lui che si diverte, beve, sente già  che risate e alcool stanno lasciando spazio ad una latente atmosfera erotica, fino a quando non arriva in ritardo il suo amico Arthur che rovina tutto dicendo “…Sono stato proprio a uno shiva oggi per la morte di un mio buon amico /   Una figura imponente nella mia prima infanzia..” e Choi fa quello che fanno tutti lo consola con le frasi banali di circostanza ” .. Hey Arthur, non apparire abbattuto! Non c’è bisogno di avere questo peso addosso Sai che è solo un cambiamento” per poi concludere il brano cantando ” .. Ero a una conferenza di settore nel nord della Virginia e ho incontrato la moglie di un venditore  ubriaca di Chardonnay e mi sussurrò che lei credeva che il corpo fosse un vaso E l’anima si sposta in un’altra dimensione
Ho detto “tipico discorso da ubriaco”.

Il brano scivola che è una meraviglia e mi strappa un sorriso, direi che ci siamo caro Choi hai definitivamente catturato la mia attenzione, la giusta dose di stranezza e riflessione che tanto apprezzo negli autori.

L’album è pieno di pezzi interessanti. Mi limito a segnalare i miei preferiti che, oltre a quelli ampiamente omaggiati, sono “What is it Like to Have Children?”, le ottime “Bethesda” con il suo organo e “Gospel of Hope” in cui racconta dei suoi genitori migranti coreani fuggiti dalla guerra come pretesto per riflettere sulla vita o “Teenage Eyes” dove addirittura sembra, a tratti, di piombare in un pezzo da pop band. Il brano, che si sviluppa su un discorso del presidente americano Dwight Eisenhower alla Convention del Partito Repubblicano del 1956, affronta il tema della diseguaglianza che ancora infesta il mondo.

L’album, come capirete, affronta temi importati con disarmante semplicità  e profondità , donando sempre una speranza e un’uscita da questi nostri tempi tumultuosi.

Un gran bel lavoro e un artista indie che vi invito a frequentare e conoscere, una voce singolare e diversa, capace di raccontare e catturare la vostra attenzione, una pillola di sana e allegra saggezza: dedicategli il vostro tempo non ve ne pentirete.

Photo Credit: Brian Pai