è di nuovo venerdì e seguendo la traiettoria del volo di un moscone – dal ronzio più emozionante di tante cose sentite ultimamente – ho percepito l’esigenza, da parte dell’Universo, di sapere (anche) la mia sulle ultime pubblicazioni musicali del Belpaese; è per questo che, signore e signori, ho deciso di comunicare urbi et orbi il mio bollettino del giorno sulle nuove uscite del pop italiano. Sì, quel tragico, ribollente pentolone traboccante degli sguardi impietosi di chi dice che la musica nostrana fa schifo, di chi “parti Afterhours, finisci XFactor”, di “Iosonouncane meno male che esisti”, di “Niccolò Contessa ma quando ritorni”, di Vans, libri citati mai letti e film repostati mai visti che ogni venerdì rinfoltisce la sua schiera di capipopolo di cuori infranti con una nuova kermesse di offerte per tutti i gusti e i disgusti. Ecco, di questo calderone faccio parte come il sedano del soffritto, quindi non prendete come un j’accuse quello che avete letto finora: è solo un mea culpa consapevole ed autoironico – ridiamoci su! che una risata ci seppellirà , per fortuna, prima o poi – a preparare lo sfortunato lettore alla breve somma di vaneggi e presuntosi giudizi che darò qui di seguito, quando vi parlerò delle mie tre uscite preferite del weekend, e della mia delusione di questo venerdì. Sperando di non infastidire nessuno, o forse sì.

SPECIALE GREEN SELECTION

FADI, Ragazzo del 2000

Fadi, certo, meriterebbe uno spazio che possa rendere merito e restituire dignità  (non che ce ne sia bisogno, di fronte alla qualità …) ad un progetto che dopo Sanremo avrebbe dovuto godere di più attenzione; di certo, il mio inserirlo qui è un gesto dovuto più al dato anagrafico (ne ha di tempo, Fadi, anche se oggi tutti vogliono fenomeni sedicenni da buttare nel secchio con più facilità , a prestazione esauritasi) che a qualche distanza – inesistente – tra il talento romagnolo e i BIG della scena. Fatto sta che Fadi resterà  una promessa finchè non saremo noi a “mantenerla”: “Ragazzo del 2000” è un dipinto libero e appassionato di uno che sì, ha ben chiaro negli occhi cosa voglia dire essere e sentirsi giovani, ma che ora chiede a gran voce un riconoscimento dai “grandi”. Seguiamolo e crediamoci, che ne vale la pena. Fosse solo per il timbro che si porta incollato alle corde vocali.

NU GENEA, CELIA KAMENI, Marechià 

Freschi di cambio nome (per motivazioni tutt’altro che banali, come fanno tanti nel panorama musicale degli ultimi tempi), gli ex Nu Guinea non perdono il piglio internazionalista e trans-globale della propria musica attraversando, nel giro di quattro minuti, la circonferenza terrestre rasentando con la spalla l’Equatore e collegando Africa, Sudamerica, Mediterraneo e coste Indiane; nel plurilinguismo di “Marechià ” francese e napoletano si tengono per mano, in una girandola di colori che si tinge di funky, samba, tradizione popolare e musica dance di gusto: nell’era dell’elettronica a tutti i costi, è diventato ancora più facile capire chi, nell’inferno dei viventi (e del dancefloor), non è inferno e merita di essere fatto “durare”, di ricevere spazio. I Nu Genea appartengono a questa ristrettissima ed eletta schiera.

PABLO AMERICA, Police & Kidz

Quel pazzo di Pablo America ci prende tutti per la collottola e ci strapazza come il più accanito scacciacani di Stato con un brano che, in altri tempi, sarebbe stato definito quanto meno “irriverente” e che oggi invece, nell’era in cui nessuno più si imbarazza, sicuramente riaccende le lampadine annebbiate dai fumi tossici dell’estate e delle conseguenti vacanze di neuroni (in estate si diventa tutti più stupidi. Lo ha detto il mercato musicale); “Police & Kidz” è quello che dice il titolo, nulla di più e nulla di meno. Immaginatevelo, e poi ascoltatelo. Regalatevi qualche minuto di imprevedibilità , e meravigliatevene: funziona.

NUBE, Dejavu

A me Nube piace e convince fin dal suo esordio con Revubs Dischi, avvenuto giusto un pugno di settimane fa: “Come un film di Wes” aveva conquistato il proprio posticino con merito nelle mie selezioni di fine settimana, permettendomi di accendere i riflettori sul talento di una penna da seguire con attenzione. “Dejavu”, oggi, spolvera la definizione di “hit estiva” rigenerandola nei suoi codici principali: è un reggaeton? No, lo sembra – a tratti – e non infastidisce (tutt’altro, mi aiuta a muovere il culo, pardon, i fianchi). Fa spegnere il cervello? No, anzi, ti incatena ad un nucleo di parole ben scelte e calibrate che effettivamente diventano presto tormento. Da l’idea di essere scritta a tavolino? No, per una volta, però di compenso a fine brano il tavolino ti vien voglia di lanciarlo. Il mio cuore fa bum, e non me ne vergogno.

SOLISUMARTE, E’ colpa mia

I Solisumarte sono ormai un nome piuttosto conosciuto nel panorama underground: piglio pop che si fa notare, un buon approccio al cantato (i timbri sono quelli giusti) e una scrittura apprezzabile e funzionale alla “memorizzazione”. Questi in effetti sono gli ingredienti ricorrenti nella discografia del duo, che non vengono meno nemmeno in “E’ colpa mia”; manca forse il colpo di scena ad una produzione che comunque rimane ben centrata sulle esigenze del mercato nazionale.

PIETRO BERSELLI, Nord Europa

Pietro è tornato, da qualche mese, ed io ogni volta che vedo il suo nome tra le nuove uscite del venerdì mi illumino d’immenso; quanto manca, quanta mancava tutto questo alla scena nazionale: ispirazione al servizio dell’emozione, espressione al servizio dell’urgenza; qualcosa insomma che sia fatto non solo per essere fatto, ma per “fare” e per “cambiare” chi lo fa e anche un po’ chi lo ascolta. “Nord Europa” è un gioiellino, che sa di sonorità  nordeuropee (“veda un po’ lei”) e prima scena indipendente nostrana: tante chitarre come piace a Pietro e come piace anche me. Ma in generale, ho capito che quello che piace a lui, piace sempre anche a. me. Fede cieca.

WEET, TAMI’, Cielo bipolare

Che ballad sospirante ed intensa che hanno tirato fuori Weet e Tamì, nomi di punta (almeno per il sottoscritto) della nuova scena urban lanciati a tutta velocità  verso mete che sapranno rendersi concrete solo se il percorso continuerà  ad essere quello fin qui tracciato: nessuna resa all’emulazione, nessun debito ingombrante con quello scenario Gen Z (che già  ha sfracassato i gioielli) e identità  da vendere che si respira a partire dal timbro (quello, c’è poco da fare, o ce l’hai o non ce l’hai) per finire nella scrittura. “Cielo bipolare” è un brano leggero, ma non inconsistente: si adagia sul cuore per il tempo di un ascolto senza la pretesa di voler fare solchi, costringendo comunque al ri-ascolto. L’eleganza non è di questo tempo, eppure Weet e Tamì sembrano aver centrato in pieno ciò che s’intende per “gusto” senza chiudersi in categorie a tenuta stagna. Gen Z o meno.

GABRIELE TROISI, Favole (album)

Tira fuori l’EP quel mattacchione del buon Troisi, che dopo aver frequentato in modo un po’ nomadico generi vari (e apparentemente lontani dalle sue corde) con risultati sempre sconvolgenti (in positivo) riassesta il suo baricentro su quell’urban malinconico e un po’ sognante (favolistico, appunto) che ben si sposa con il suo percorso e con la sua timbrica naturale; alle già  pubblicate “Nonsense”, “Favole” e “Lumache” si aggiungono “Tuledo”, “Persa” e la pianistica “Favole (le nostre)”, che con piglio da Hans Zimmerman restituisce all’ascoltatore l’idea di non trovarsi di fronte all’ennesimo cantautorino indie uscito da X Factor. Certo che, per definire tale il buon Troisi, ci vorrebbe una fantasia così fervida da far invidia ad Esopo o ai Grimm. Per rimanere in tema di favole. Ottimo lavoro, con un ottimo sound e identità  da vendere – come sempre.

GIANNINI, Che ti perdi

Domenico ogni volta che torna mi mette di buon umore: la sua scrittura ha l’innata capacità  di far salire una voglia assurda di rimettere le cose a posto, di rivolgere all’insù la curva verso il basso di un sorriso mancato. “Che ti perdi” si muove su un groove che fonde disco-dance e funky vecchia scuola, dando la spinta propulsiva giusta ad un testo che gode di un’irriverenza nuova, inedita per Giannini: ennesimo colpo di scena di un artista che non sente il bisogno di svilirsi per arrivare ma che anzi, difende ad ogni uscita il proprio inalienabile diritto a fare quello che gli va. Anche nel pop si può essere liberi, perdinci!

ROSANNA SALATI, Un giorno in più

Che gioia per le orecchie. Inaspettatamente. Non c’è mica troppo da dire, “Un giorno in più” è un brano che va ascoltato per capire – verrebbe da dire “come tutti”, ma non è così. Rosanna Salati è musicista, e si sente – verrebbe da dire “come tutti”, ma non è così. Nel suo brano, si fondono scrittura madrigalistica, post-rock e canzone popolare: una canzone, insomma, d’autore che respira di identità  e libertà . Bella scoperta, fuori dagli schemi.

BANDBASTARD, Sign of the times

Follia pura al servizio del buon gusto (per una buona volta, cavoli!): Bandbastard – e già  dal nome capisci di essere di fronte a qualcosa di curioso – riprende echi di robot music fondendoli ad un piglio a metà  tra il funky, la dance e il synth pop di inizio 2000; penso ai Gorillaz, ma anche a David Guetta e, perchè no, a certe rimembranze dei Kraftwerk che – per affinità  elettive – mi fanno bene al cuore e all’entusiasmo.

GINNASIO, Zanzare

Mica male il nuovo singolo di Ginnasio, che con piglio sfrontato ed allegro descrive l’estate italiana della Gen Z (ma non solo: le epoche si rincorrono, e le storie si ripetono) con piglio a metà  tra Frah Quintale e Psicologi, raccogliendo l’eredità  di un indie-pop ormai agli sgoccioli della propria originalità  che in “Zanzare”, c’è da dirlo, riesce ancora a farsi valere. Niente male, da seguire con attenzione.

NOVECENTO, Tonno

Che dolcezza, nella nuova ballad di Novecento: “Tonno” azzecca l’immagine iniziale del brano e ci costruisce intorno un mondo fatto di canzone d’autore alla Colapesce, Silvestri e Poi senza sedersi su pose emulative capaci di limitarne l’identità ; la scrittura del pezzo è pregevole, e tiene in piedi tutto l’evolversi di melodie e significato: una penna che vale la pena scoprire, e che stupisce per coraggio autorale.

ANDREA DI DONNA, Senza destinazione

Buon cantautorato pop quello di Di Donna, che ricorda cose diverse (da Lucio Dalla allo Stato Sociale, passando per Brunori) attraverso un mix originale che, alla fine, ne premia la capacità  di alchimia: musica leggera che non sa appesantirsi di retorica (nonostante il testo viaggi per tutto il tempo sul filo di un rasoio affilatissimo) e che rimane godibilissima, anche al terzo, quarto ascolto.

FRANCESCO AUBRY, D.N.A.

Mica male anche il nuovo singolo di Aubry, che con piglio a metà  tra swing e ballad pop disegna la sua personale idea di “tormentone estivo” grazie ad un arrangiamento che raccoglie eredità  sixties e canzone d’autore a metà  tra Pino Daniele e Fabio Concato; un mood spensierato che non stucca, anzi, diverte facendo ben sperare su un’estate che possa essere – almeno per Aubry – lontana dalla mediocrità  delle hit da bella stagione.