Siete pronti per fare un bel viaggio indietro nel tempo? Perchè gli Assertion, nel loro debutto intitolato “Intermission”, vogliono portarci a fare una bella passeggiata tra le vestigia del grunge, del post-hardcore e dell’alternative rock anni ’90. L’album, tra l’altro, potrebbe interessare moltissimo i nostalgici di quella gloriosa era musicale, visto che segna l’atteso ritorno sulle scene di William Goldsmith, in passato batterista per Sunny Day Real Estate, The Fire Theft e Foo Fighters.

A fargli compagnia ci sono il cantante e chitarrista Justin Tamminga e il bassista Bryan Gorder, anche loro protagonisti di una prova solida e convincente che, non a caso, è riuscita a ritagliarsi uno spazio nella classifica delle migliori uscite della prima metà  del 2021 redatta dall’edizione statunitense di Rolling Stone. Un riconoscimento sicuramente meritato, considerando la qualità  media delle nove tracce in lista.

I livelli sono alti e la proposta è ricca. Gli Assertion non si limitano a ripetere a pappardella le lezioni apprese da Quicksand, Far, Hum e Jawbox, ovvero i loro conclamati punti di riferimento, ma rielaborano con fantasia e gusto un sound dalle origini antiche ma ancora moderno, poichè flessibile e contaminato. La musica del trio di Tacoma nasce dall’impellente urgenza di offrire all’ascoltatore un’esperienza catartica, pescando a piene mani dalle pagine di storia scritte dagli Hà¼sker D༠(“Down Into The Dephts”, “This Dream Does Not Work”) ma più spesso ricollegandosi direttamente a quelle ancestrali sonorità  emo di cui Goldsmith, insieme agli indimenticati Sunny Day Real Estate, fu maestro (da non perdere le intensissime “Supervised Suffering” e “Set Fire”).

Affidandosi esclusivamente alla potenza dirompente della sezione ritmica, alle trame melodiche della chitarra e della voce di Tamminga e al frequentissimo gioco d’alternanza tra quiete e rumore, gli Assertion riescono nell’impresa di confezionare un disco tanto essenziale quanto avvincente nel suo continuo mutare.

Si passa dal riff pumpkinsiano alla “Cherub Rock” della psichedelica “The Lamb To The Slaughter Pulls A Knife” al pop rock robotico, schizofrenico ma tutto sommato radiofonico di “Defeated”, passando ancora per l’energia selvaggia di “Pushed To The Limit” e le atmosfere delicate e spacey delle strofe di “Deeper In The Shallow”. Sullo stesso registro di quest’ultima, in bilico tra silenzi ed esplosioni elettriche, troviamo anche “This Lonely Choir”, impreziosita da un bel ritornello da cantare a squarciagola. Una canzone davvero molto coinvolgente, così come lo è “Intermission” nella sua interezza. Una bella sorpresa.

Photo Credit: Andrew Kvenvolden