Le sei tracce di “Valdez” interrompono nella maniera più fragorosa possibile il lungo silenzio dei Birds Of Maya, un trio di Philadelphia nato nel 2004 che sembra non aver alcun interesse per l’ordine e la disciplina. La loro è una carriera che, almeno all’apparenza, si trascina per inedia. Ma oltre alla scarsa produttività , alle difficoltà  organizzative e ai lunghissimi periodi di inattività , c’è la potenza di un garage rock psichedelico e ruvidissimo che, tra arie da jam session e suggestioni stoner, vince a man bassa e sbaraglia la concorrenza.

E allora chissenefrega se questo disco, che arriva a ben otto anni di distanza dal precedente “Celebration”, è stato registrato nell’ormai lontanissimo 2014. Ciò che conta è la qualità  e qui, fortunatamente, ve n’è in abbondanza.

Pesanti, crudi e rumorosissimi: i Birds Of Maya di “Valdez” improvvisano e marciano senza paura sui binari di un rock vintage, ultra-grezzo e ruspante. Nessun interesse a seguire schemi che rischierebbero di tarpare le ali a una creatività  che, per quanto non dirompente, è assolutamente genuina.

Non ci sono strutture a reggere le basi di brani che si sviluppano in totale libertà , spesso sfiorando o sfondando i dieci minuti di durata. A fare da guida è la chitarra di Mike Polizze, che si divide tra riff urlanti (ottimi quelli di “High Fly” e della breve e velocissima “BFIOU”) e assoli caotici e anarchici, spesso doppiati in multitraccia per dar forma a folli sovrapposizioni che ricordano da vicino quelle di Tony Iommi nei Black Sabbath.

Nei ritmi ossessivi della batteria di Ben Leaphart e nel groove possente del basso di Jason Killinger (super-distorto, come d’altronde lo è anche la sua voce) c’è il fulcro di un sound primordiale che, tra richiami a epoche antiche (The Stooges, Spacemen 3) e moderne (Comets On Fire), convince a pieni voti per la sua natura selvaggia e psichedelica. Un trip assordante, allucinante ed entusiasmante: straconsigliato.