Gli I Hate My Village, supergruppo fondato da Adriano Viterbini dei Bud Spencer Blues Explosion e Fabio Rondanini dei Calibro 35, cui si sono aggiunti Marco Fasolo dei Jennifer Gentle come produttore (e bassista dal vivo) e alla voce Alberto Ferrari dei Verdena, sono tornati da poco con un singolo che anticipa l’atteso seguito del loro bellissimo album di debutto.

La partecipazione cruciale del leader del trio bergamasco ci da’ modo di andare a rispolverare la ricca discografia di un nome cardine del rock tricolore, di recente balzato agli onori delle cronache anche all’estero, dopo che Victoria De Angelis, la carismatica bassista della band pigliatutto dei Mà¥neskin, li ha citati assieme ad altri gruppi  che hanno fatto la storia della nostra musica.

Oltre ad essere stato un sincero attestato di stima nei confronti di artisti a cui i giovani romani devono molto, l’auspicio è che almeno una parte di coloro che si stanno strappando i capelli per “Zitti e buoni” e “I Wanna Be Your Slave”, abbia poi la curiosità  di andare a scoprire cos’è stato (e cos’è) il rock italiano, genere di cui i Verdena da più di vent’anni sono degnissimi testimoni, rappresentandone oltretutto una delle esperienze più interessanti, coerenti e autentiche di sempre.

Dall’omonimo disco d’esordio, baciato da un grande successo di pubblico e critica, fino ai due volumi di “Endkadenz”, gli ultimi della serie datati ormai 2015, i Verdena di Roberta Sammarelli e dei fratelli Alberto e Luca Ferrari non hanno sbagliato un colpo, provando – spesso e volentieri riuscendoci – ad alzare sempre l’asticella della qualità  senza sedersi sugli allori.

Spiriti liberi musicalmente e idealmente, anche loro esordirono giovanissimi ma già  con le idee piuttosto chiare sul cammino artistico da percorrere, senza cedere mai a lusinghe commerciali.

Perdonate la lunga premessa, facciamo ora parlare la musica con la nostra consueta Top 10 brani, nella quale ripercorriamo per intero la loro carriera:

Bonus Track – Puzzle
2015, da “Endkadenz Vol.1”

Non fosse altro perchè si tratta della mia canzone preferita dei Verdena al momento (ragion per cui viene difficile collocarla in una graduatoria che voglia essere il più possibile oggettiva), ho voluto regalare ai lettori questa traccia bonus. Ritengo però doveroso precisare che in “Puzzle”, come da emblematico titolo, ogni tessera è perfetta al suo posto per definire (e rinverdire allo stesso tempo) uno stile unico nel panorama del rock italiano. In poco più di quattro minuti qui dentro c’è tutto: una buona linea melodica in mezzo a vari cambi di registro, una musica avvolgente e ariosa e non ultimo il cantato espressivo di Alberto Ferrari a tessere trame linguistiche, al solito complicate da afferrare, ma proprio per questo assolutamente affascinanti ed evocative.

10. Razzi arpia inferno e fiamme
2011, da “Wow”

La nostra rassegna si apre con un brano atipico del repertorio dei Nostri (che poi in effetti è una loro peculiarità  quella di sorprendere a ogni nuova pubblicazione): “Razzi arpia inferno e fiamme”   fu il primo singolo di un album a quel punto molto atteso e, tra una sei corde acustica in grado di insinuarsi maliziosa sotto pelle e le parole dai significati sfuggenti di Alberto, è pleonastico dire che la prova fu superata in scioltezza. Molto evocativo anche il video con allegata fantasiosa coreografia ad accompagnarlo.

9. Ho una fissa
2015, da “Endkadenz Vol.1”

Il primo episodio di “Endkadenz” è una canzone verdeniana fino al midollo: lo è per il suono maestoso delle chitarre, per le distorsioni elettriche, le parole che si incastrano perfettamente fra le note e una malinconia di fondo che emerge in mezzo a tanto costruttivo rumore. Lo ammetto, ho da sempre… una fissa, ehm…un debole per questo pezzo!

8. Caà±os
2007, da “Requiem”

Visionari e psichedelici, spaziali e fluttuanti, eppure con il rock sempre acceso sul motore: questo singolo è ben adatto a esemplificare “Requiem”, forse l’album più coeso, stratificato e senza compromessi che la band bergamasca abbia mai pubblicato. Una pietra miliare della loro produzione.

7. Dymo
2015, da “Endkadenz Vol.2”

In “Endkadenz Vol.2”, uscito a soli sette mesi di distanza dal primo capitolo, il gruppo ha modo di sperimentare e di allargare ancora di più i propri confini musicali, da sempre piuttosto estesi. Ne è una prova certa il prezioso contributo che viene dato da “Dymo”, dove l’arrangiamento è sorretto egregiamente dal pianoforte e sul quale è instillata una convincente matrice jazz.

6. Luna
2004, da “Il suicidio del samurai”

Era dai tempi dell’epocale singolo d’esordio che i Verdena non si presentavano ai nastri di partenza di un nuovo lavoro con un pezzo così forte, in cui ogni singola componente è al punto giusto e parteggia in egual misura alla felice resa artistica. La melodia è infatti tra le più limpide mai realizzate dal trio, la musica è incalzante e conduce al trascinante ritornello, in cui si denota un efficace lirismo in versi come: “Illumina/Annulla le paure, oh luna/Nulla/è uguale/Sarò così/Onesto come se tu fossi il mare/Il mare”… Il resto lo fa una sezione ritmica affiatata come non mai, con la bassista Roberta e il batterista Luca che sembrano posseduti dai demoni del grunge.

5. Scegli me (Un mondo che tu non vuoi)
2011, da “Wow”

Una canzone d’altri tempi questa, una ballad sognante che si abbevera alla fonte dei magici seventies, senza apparire in alcun modo derivativa o calligrafica. D’altronde, per quanto le influenze della band siano molteplici, è indubbio che quell’epoca lontana ben si addica alle loro istanze musicali, così come a una sorta di credibile immaginario.

4. Spaceman
2001, da “Solo un grande sasso”

Dopo il boom del disco d’esordio, i fari si accesero tutti su questi tre ragazzi sui quali le aspettative si erano fatte oltremodo elevate; al contempo vi era la giusta curiosità  di capire se avrebbero ricavato la formula perfetta dalla loro commistione musicale. Le risposte saranno però, non dico controverse, ma per lo meno sorprendenti, visto che l’esempio portato da questa “Spaceman”, dilatata e sofferta, sonica e a conti fatti per nulla commerciale, ci confermò chiaramente una cosa: i Verdena non ci tenevano proprio a essere incasellati in una sola voce.

3. Mina
2004, da “Il suicidio del samurai”

L’incipit è di quelli clamorosi – “Oh mina ho perso il controllo/E dopo tutto non avrò che pioggia che cade con me/E getto le ultime molecole contro di te/E brucia con me l’aria, e brucia con me l’aria…” – e il resto non è da meno, in una canzone che mantiene alta la tensione emotiva per tutta la sua durata, colpendo al cuore l’ascoltatore con le sue sferzate elettriche, l’atmosfera plumbea e struggente e l’urlo di Alberto che sa di disperazione. “Mina” è uno dei gioielli nascosti più preziosi della loro discografia.

2. Trovami un modo semplice per uscirne
2007, da “Requiem”

Nell’album più visceralmente rock in catalogo può stridere il fatto che proprio qui siano presenti forse le ballate più intense di un’intera carriera, ma in fondo i Verdena amano esprimere con la musica tanti risvolti della propria esistenza e non può certo mancare di essere veicolato il lato più intimista. All’altrettanto suggestiva “Angie” ho preferito in fase di classifica la più acustica e visionaria “Trovami un modo semplice per uscirne” che, nella sua semplicità  (almeno per i canoni del gruppo) riesce sempre a muovermi qualcosa nel profondo, finanche a commuovermi.

1. Valvonauta
1999, da “Verdena”

Giunti in cima alla nostra lista, la scelta è sin troppo scontata mi direte, ma come potrebbe non essere altrimenti? “Valvonauta” fu un istant classic, una vera rivelazione! Arrivata a fine millennio con la sua aura misteriosa, l’iconico videoclip e un sound freschissimo e coinvolgente, sembrava davvero indicare una nuova via a tutto il movimento del rock italiano, che pure in quegli anni si stava difendendo più che bene con i suoi migliori alfieri a contendersi addirittura le prime posizioni delle classifiche di vendite. Altri tempi, indubbiamente, destinati a rimanere segnati per sempre anche da questi ragazzi ormai cresciuti che, tacciati prematuramente da certa critica bacchettona di essere un mero clone dei Nirvana, sono stati in grado di mantenere integro e puro un percorso artistico originale, mettendo sempre al primo posto la musica e nient’altro.

Photo: Carlo Polisano from Milano, Italia, CC BY-SA 2.0, via Wikimedia Commons