Con il pop si può rischiare.

4 anni sono passati dal secondo capolavoro di  Lorde dal titolo “Melodrama”. Un disco che seguiva le orme del primo album “Pure Heroine” incantando artisti dal calibro di  David Bowie. Secondo quest’ultimo la giovane artista neozelandese sarebbe stata il futuro del pop. E fino ad ora ci abbiamo tutti creduto.

I hate the winter, can’t  stand the cold”, sono le prime parole del primo singolo “Solar Power”, anche titolo del terzo LP, uscito a sorpresa tempo fa e che ha fatto salire l’asticella dell’hype in tutto il globo. A gran voce si richiedeva un nuovo disco, oramai estasiati da quella natura quasi dark e “melodrammatica” precedente. Ora,  Lorde esce dal suo mondo fatto di freddo per sdraiarsi su una spiaggia al caldo del sole estivo.

Jack Antonoff è alla base di produzione, ancora una volta, di un disco della cantante ma chissà  perchè in questo caso si è cannato un po’ il tutto. Non c’è niente di nuovo, sembra un album di  Natalie Imbruglia (mi dispiace fare questo paragone, ma devo) e le dodici tracce assieme rendono l’ascolto noioso, uguale e molto lento.

Questa deriva quasi folk, un folk che ha già  toccato artiste come Taylor Swift sta sfuggendo di mano. Per gran parte del disco sembra anche quasi che le varianti alla Lana Del Rey siano riuscite ad entrare nella struttura: queste chitarre acustiche presenti per tre quarti dell’album, una base di drum machine uguale in ogni suo tempo e quel mood spensierato e molto nostalgico nell’interpretare i testi.

Lorde ce l’aveva detto, comunque: sarà  un disco rilassato, con molte influenze del folk-rock come The  Mamas & The Papas  (soprattutto nei coretti da sixties). I singoli ci avevano fatto dire “ah, finalmente è rinata sotto una nuova luce“, peccato che le anticipazioni non possono poi essere la copia spudorata delle altre nove canzoni presenti nell’album.

La scrittura dei testi è sicuramente ottima, anche se a volte pecca di coerenza. Se in  “Ocean Feeling” si riassapora la Lorde del passato, in “Leader of a New Regime” la carta dell’ambientalismo viene giocata tra impegno e ironia dando quindi il senso finale di “ok e quindi?”.

Ora, io sono un suo grande fan. Dal vivo è qualcosa di pazzesco e varrà  comunque la pena andarla a sentire nelle due date italiane. Questo però non giustifica l’album mediocre appena uscito: le attese erano molto alte, l’hype si percepiva da mesi oramai e sicuramente il cambio di stile anche di  Billie Eilish con “Happier Than Ever” non ha aiutato. In questo caso si gira intorno ad un’intenzione non ben definita, con l’aggravante di non guardare avanti e di esibire un’introspezione autoreferenziale molto forte. Il mio consiglio è comunque di ascoltarlo, per il prossimo però vi dico “don’t believe the hype“.