Sei gentiluomini britannici. Età  media: sessantacinque anni. I volti stanchi, scavati dalle rughe ma quasi sempre illuminati da sorrisi bonari. Il tempo passa e gli Iron Maiden diventano sempre più simili a dei nonni saggi e amabili. Ma la pensione può attendere perchè, come ben ci dimostrano le dieci tracce di “Senjutsu”, questi stimabili signori continuano a bruciare di passione per il sacro verbo del metallo pesante.

La splendida copertina del diciassettesimo album della band inglese, disegnata dall’esperto illustratore Mark Wilkinson, vale più di mille parole. Quando ti trovi di fronte un Eddie in versione samurai – con tanto di katana sguainata, denti aguzzi e sangue che esce copioso da occhi e bocca ““ lo capisci in un batter d’occhio: gli Iron Maiden saranno pure invecchiati, ma di certo non si sono rammolliti.

Magari non suonano più con la foga e l’ardore che li contraddistingueva agli esordi, quando sfoggiavano chiodi da biker e registravano i primi, indimenticabili capolavori della NWOBHM (impronunciabile acronimo che sta per New Wave of British Heavy Metal). Loro però ci mettono il cuore, l’anima e la pancia, ben consapevoli del fatto che il meglio è ormai alle spalle.

I fasti del passato sono irripetibili, è vero; ma cullarsi sugli allori non serve a niente. E allora tanto vale continuare a impegnarsi per provare a produrre musica di qualità , senza quindi ricorrere alla solita minestra riscaldata che tante vecchie glorie rifilano ai sempre affamati fan. “Senjutsu” non è un contentino per i metallari nostalgici dei fenomenali anni ’80: è un album elaborato e complesso che richiede molteplici ascolti per essere assimilato a dovere.

Per cui, se volete davvero immergervi nell’opera, armatevi di cuffie e godetevi uno spettacolo che, tra le galoppate entusiasmanti del basso di Steve Harris, gli epici duelli tra le chitarre armonizzanti del trio Dave Murray, Adrian Smith e Janick Gers e i ritmi cangianti di un Nicko McBrain ancora in splendida forma dietro la batteria, si trascina per la bellezza di un’ora e ventidue minuti. Dico si trascina perchè, nonostante la pregevole fattura di tanti e tanti brani, la lunghezza monstre non è di alcun beneficio a un disco che, con qualche taglio qua e là , sarebbe sicuramente stato più digeribile e meno sfiancante.

In realtà  sembra anche strano dirlo, considerando il fatto che le migliori tracce di “Senjutsu” sono proprio quelle dalla durata maggiore. Forse esagero ma il trittico conclusivo dell’LP, composto dalle interminabili “Death Of The Celts”, “The Parchment” e “Hell On Earth”, è tra le cose più belle e intense che gli Iron Maiden abbiano scritto da due decenni a questa parte.

Eppure, arrivati all’ennesimo passaggio strumentale un po’ ripetitivo o alla milionesima digressione progressive non troppo a fuoco, la domanda sorge spontanea: perchè questa logorrea musicale? Perchè questa voglia di strafare che, il più delle volte, risulta anche essere dannosa alla struttura sia delle singole canzoni, sia dell’album nel suo complesso? Non è che la band, tirandola per le lunghe con effetti speciali e citazioni dal gusto autocelebrativo, ci vuole stordire per celare la carenza di idee fresche e interessanti?

Non credo sia questo il caso. In “Senjutsu” di carne al fuoco ce n’è in abbondanza: le atmosfere cupe e orientaleggianti della title track, il mood malinconico della semi-ballad “Darkest Hour”, i riff blueseggianti di “The Writing On The Wall” e l’incredibile delicatezza delle note che aprono “The Time Machine” sono lì a ricordarci che gli Iron Maiden sanno come rinnovarsi e sorprendere senza per questo rinunciare agli inconfondibili marchi di fabbrica.

I difetti del disco ““ se tali vogliamo considerarli ““ sono riconducibili all’incisiva e costante enfasi che, invece di dar risalto agli aspetti grandiosi della musica del gruppo, fa emergere una pericolosa e francamente inutile magniloquenza. Una vera e propria zavorra che, unita al pessimo uso delle tastiere (vedi l’effetto “pianola” che deturpa le energiche “Stratego” e “Days Of Future Past”) e al triste declino vocale di un Bruce Dickinson in perenne affanno, minaccia seriamente di affondare “Senjutsu”. Per fortuna c’è il buon vecchio Eddie che, con la sua affilatissima katana, taglia la cima d’ormeggio, leva le ancore e lascia viaggiare libero il galeone degli Iron Maiden, ancora maestri della nobile arte dell’heavy metal.