Considerato da molti, anche da una buona fetta dei propri fan, l’album più debole e meno riuscito in realtà  “Ceremony”, quinto album dei Cult, raccoglie nelle sue undici tracce tutto il percorso musicale della band britannica mescolando il goth-rock delle origini – uscito fuori dal meraviglioso “Dreamtime” – con il post-punk dalle derive psichedeliche di “Love” (leggi la “celebration” dei 35 anni), unito alle sonorità  più rock iniziate con “Electric” e fino a giungere al successo mainstream di “Sonic Temple” che, probabilmente, chiude gli anni d’oro del gruppo.

Inevitabile, infatti, collocare la band – formata dall’istrionico cantante Ian Astbury e dal chitarrista Billy Duffy – nella decade eighties all’interno della quale la band inglese ha saputo ritagliarsi una parentesi alternative rock di grande lustro.

“Ceremony” arriva in un momento storico non proprio “favorevole”, forse il peggiore, dove ogni altra pubblicazione fu travolta dall’ondata grunge statunitense che iniziava a prendere piede proprio nel 1991, a partire da “Ten” dei Pearl Jam uscito a fine agosto, per passare da un certo “Nevermind” uscito nello stesso giorno, il 24 settembre, fino a “Badmotorfinger” dei Soundgarden, pubblicato i primi di ottobre. Insomma, una sorta di “suicidio discografico”!

Eppure, “Ceremony” è davvero un gran bel disco e con la celebrazione odierna vi invito a riscoprire. Un album figlio delle peculiarità  dei suoi padri che è riuscito a ben coniugare, dunque, l’anima spiccatamente rock di Duffy con le elucubrazioni spirituali dello sciamano Astbury, con il risultato di lanciare ottimi episodi, alcuni dei quali davvero notevoli come la spettacolare “White”, ed i suoi quasi otto minuti di puro rock sorretto da un Ian in stato di grazia, oppure come “Wild Hearted Son”, introdotto da una danza indiana che apre alle robuste chitarre hard-rock di Duffy.

Prodotto dal losangelino Richie Zito (Joe Cocker, Cheap Trick, Bad English, White Lion, The Motels), “Ceremony” prosegue le orme del richiamato “Sonic Temple” con il quale condivide sicuramente l’impronta più marcatamente rock della band inglese ancorchè la tracklist, dal minutaggio generoso, si mostra divisa in due parti. La prima parte dell’album, con gli inquietanti riff della title track a fare da apripista, è orientata ad un suono più ruvido e corposo portato avanti dalle già  citate “Wild Hearted Son” e “White”, alle quali si aggiunge il rock-metal di “Earth Mofo”, le chitarre sorrette dallo splendido pianoforte in sottofondo di “If” e l’incalzante e trascinante ritmo di “Full Tilt”, la quale riporta alla memoria le efficaci sonorità  di “Electric”.

La seconda trance della tracklist si lascia andare ad un mood più “morbido” nel quale spiccano la melodia della robusta ballad “Heart Of Soul” che conduce agli archi di una struggente e bellissima “Indian”, con un Astbury davvero sublime, fino alle tinte soul di “Salvation” che conduce in fondo all’album con “Wonderland”, nella quale Duffy si riprende la scena con i suo assoli dall’impronta classic rock.

“Ceremony” è un bell’album nel quale ogni singolo brano è riuscito a ritagliarsi il suo “cerimoniale” all’interno della tracklist tra le tonanti chitarre di Duffy e la caratterizzante voce di Astbury: nel frattempo, il mondo del rock stava cambiando ed i Cult probabilmente avevano già  deciso di non farne parte.

Pubblicazione: 24 settembre 1991
Durata: 63:38
Dischi: 1
Tracce: 11
Etichetta: Beggars Banquet, Sire
Produttore: Richie Zito

Tracklist:
1. Ceremony
2. Wild Hearted Son
3. Earth Mofo
4. White
5. If
6. Full Tilt
7. Heart of Soul
8. Bangkok Rain
9. Indian
10. Sweet Salvation
11. Wonderland