Sul finire degli anni ottanta, con riflessi evidenti in termini di uscite discografiche e conseguente sviluppo a macchia d’olio del fenomeno, in Inghilterra si posero le basi per un nuovo filone musicale che vedeva in gruppi come Jesus of Mary Chain e My Bloody Valentine i suoi principali referenti.

Tale genere, che traeva spunto dall’alternative rock ma ne accentuava gli aspetti psichedelici e dilatati, grazie a riverberi, feedback chitarristici e melodie fluttuanti, passò alla storia come shoegaze, anche per l’attitudine curiosa dei loro interpreti di guardare in basso durante le esibizioni, completamente assorbiti dalla loro musica e quasi disinteressati al contorno.

Un po’ forzatamente finirono nel calderone anche gli Swervedriver dei cantanti e chitarristi Adam Franklin e Jimmy Hartridge, che nel 1989 si trasferirono dalla natia Oxford in quel di Londra, alla ricerca di un nuovo impulso da dare alla propria carriera, iniziata insieme nei seminali Shake Appeal.

All’epoca erano già  entrati in contatto con i Ride, gruppo finito nelle grazie della stampa e dal buon seguito di pubblico, grazie appunto a quel sound nuovo così affascinante e, per certi versi, misterioso.

Giunti così nella capitale, furono scritturati presto dalla Creation; d’altronde quelle prime canzoni partorite dal duo (cui si sarebbe aggiunta in seguito una potentissima sezione ritmica composta dal batterista Graham Bonnar e dal talentuoso bassista Adi Vines) erano piuttosto inclini ad assecondarne spontaneamente un mood sempre più caratterizzante.

Tuttavia, le coordinate musicali in cui gli Swervedriver si muovevano, seppur associabili allo shoegaze, mostravano un’altra faccia della medaglia, e non tradivano un background dei Nostri che traeva linfa da esperienze diverse e che sarebbe stato riversato copioso nell’album di debutto.

I pezzi che finirono per comporre l’esordio “Raise”, datato 30 settembre 1991, colpirono da subito per la loro immediatezza ma ancora di più per un’indubbia potenza sonora, a tratti dirompente, confermando quanto di buono e promettente il gruppo aveva condiviso con i tre Ep anticipatori.

L’inizio di “Raise” proietta l’ascoltatore in un vortice rumoroso, in cui le voci dei protagonisti si mescolano e le chitarre disegnano riff taglienti: sia “Sci-Flyer” che la successiva “Pile-Up” mostrano questi ingredienti, dosati a velocità  sostenuta.

E che dire di “Son of Mustang Ford”, peraltro già  pubblicate in uno dei precedenti Ep? Qui siamo quasi dalle parti di un hard rock appartenente a un’altra epoca!

Arrivati qui insomma, sembrerebbe che la critica al tempo avesse preso una topica nel mettere assieme Swervedriver e, che ne so?, i coevi Chapterhouse, così diversi come sembravano a una prima sommaria impressione.

Eppure a un ascolto attento, è evidente invece come nell’animo di Franklin e soci albergasse il desiderio di allargare i propri confini musicali, realizzando canzoni dall’ampio respiro, pur non rinunciando al vigore e all’asse portante di chitarre, basso e batteria, a segnarne imperioso l’incedere.

Prova ne sono gli oltre sei minuti dell’ondivaga “Deep Seat” e, soprattutto, i magnifici affreschi sonori che delineano la sognante “Rave Down”, cui bastano, oggi come allora, davvero pochi secondi di ascolto per capirne la portata storica e l’indole da instant classic, quale infatti sarebbe diventata (qualora voleste fare una bella playlist shoegaze, questa sarebbe una traccia imprescindibile).

La seconda metà  del disco si mantiene su alti livelli, con l’adrenalinica “Sunset”, la melodica e psichedelica “Feel So Real” e due episodi invero un po’ differenti dal resto della scaletta ma altrettanto significativi ed evocativi.

Più che la conclusiva “Lead Me Where You Dare…”, dai toni acustici e ipnotici, colpisce l’eterogeneità  e l’eleganza di un brano come “Sandblasted”, che al suo interno mostra più sfaccettature, puntando sull’intensità  delle chitarre e di un cantato ispirato e appassionato.

“Raise” fu un disco di debutto coi fiocchi, con i suoi autori che a quel punto sembravano pienamente autorizzati a guidare un nuovo rinascimento della musica inglese, dove mettere al centro di ogni cosa gli ingredienti tipici del pop: le chitarre, la melodia, il sound fresco e coinvolgente, l’attitudine… il tutto però anteponendo la sostanza alla forma.

Le cose non andarono esattamente per il verso giusto, soprattutto sul piano umano, tanto che, proprio quando si sarebbero potuti raccogliere copiosi i frutti del lavoro (alla luce del forte interesse di pubblico e critica nei loro confronti), il batterista Graham Bonnar e il bassista Adi Vines presero la decisione, in due momenti diversi, di lasciare il gruppo nelle mani dei due fondatori.

Fu indubbiamente un brutto colpo per gli Swervedriver, il cui meccanismo si inceppò sul più bello, salvo poi tornare a macinare ritmo e idee all’altezza dell’altrettanto riuscito “Mezcal Head”.

Il successore di “Raise” avrebbe visto la luce due anni più tardi, quando però il mercato inglese era già  sul punto di salutare l’ennesima nuova fioritura di band stavolta sì destinate a cambiare il destino musicale di un’intera nazione… e in tutto ciò, come la storia del rock insegna, fu fondamentale anche la mano della Creation.

Swervedriver ““ Raise
Data di pubblicazione: 30 settembre 1991
Tracce: 9
Lunghezza: 44:55
Etichetta: Creation Records
Produttore: Swervedriver

Tracklist
1. Sci-Flyer
2. Pile-Up
3. Son of Mustang Ford
4. Deep Seat
5. Rave Down
6. Sunset
7. Feel So Real
8. Sandblasted
9. Lead Me Where You Dare…