Sullo sfondo di una Corea del Sud segnata da una divisione per classi marcata a fuoco (che abbiamo imparato a conoscere con “Parasite“, ma a livello meno mainstream con tanti autori e titoli pregressi) assistiamo ad un gioco al massacro tra personaggi le cui vite sono andate perdute a causa di debiti non più saldabili. Gioco è la parola centrale di uno show per ricchi in cui chi perde perde la vita, giocando per l’appunto a giochi d’infanzia come quello del titolo, il più violento, il tiro alla fune o uno due tre stella. Quasi a voler rimarcare che è fin da bambini che siamo allevati alla competività  ad ogni costo, a lasciare indietro, ad escludere dalle nostre squadre, i cosiddetti anelli deboli.

La scrittura dei personaggi è molto buona, la messa in scena a colori sgargianti e strutture esheri-ane scintillante e rapinosa, la colonna sonora alienante. La gestione della suspence, come del resto avviene spesso nei prodotti sudcoreani moderni, è molto holliwoodiana, ma non intacca la potenza dei silenzi e degli sguardi gestiti nella più orientale delle maniere.

Non di certo nulla che non abbiamo già  visto, almeno in termini di orrori e tricks narrativi, ma la confezione estetica è gargantuesca e la suspense garantita.