Arrivare, 35 anni dopo la sua pubblicazione, a fare un articolo su questo album che possa risultare nuovo e che possa dire ancora qualcosa di sconosciuto su un pezzo di storia del thrash-metal, beh, ve lo anticipo subito, è impossibile. Quindi non lo farò, andate pure dalla “concorrenza” e leggetevi vita, morte e miracoli di “Reign in Blood”, terza fatica dei colossi Slayer.

Per quanto mi riguarda, legherò il compleanno a quei ricordi indelebili che solo certi dischi evocano: sono sicuro che anche voi lettori avete quell’album o quella canzone che sono meglio di un libro di fotografie. Sta di fatto che avevo 14 anni quando scoprii questa perla. La classica partenza nel mondo del metal con gli Helloween, gli Iron Maiden e i Metallica, le magliette “con i mostri” (come diceva mia nonna), mio padre che mi chiedeva se non ci fosse “qualcosa di più pacifico da ascoltare“, la voglia di trovare qualcosa di sempre più veloce, oltranzista e incazzato e…tac, ecco che saltano fuori gli Slayer. Boom. Il Metal, con la M maiuscola. Che botta. “Reign In Blood”. Da restare senza fiato.

In 28 minuti Araya e soci picchiano durissimi, con una cattivera e un’intensità  che, per quegli anni, non aveva rivali: figurarsi se non poteva diventare la colonna sonora di chi, alle medie, se ne fregava della canzoncine e voleva stupire (o spaventare) con sta “roba selvaggia” messa a tutto volume nel tragitto casa-scuola, ovviamente in cassetta e ovviamente sul Walkman con le cuffie scassate. Ve la faccio passare io la voglia di ridere. Anzi, la fa passare Dave Lombardo che martella come un fabbro indemoniato. Le facce dei compagni e di chi stava sull’autobus quando facevo sentire cosa ascoltavo erano tutto un programma.

Quella pioggia iniziale nella title track, con tanto di tuoni…mi divertivo troppo a farla sentire a mia madre spegnendo tutte le luci e poi ecco la chitarra che entra e puntualmente il solito urlo…”Abbbassssaaaaaaaa!!!!!” alternato a “Accendi sta luceeeeee!!!“.

Mi ricordo che una volta volevo fare un film horror con la telecamera di mio padre (altro che tik tok) e avevo reclutato i compagni di scuola.   C’era una scena di una ragazza che doveva gridare e le dissi: “Non ti sforzare nemmeno, mettiamo l’urlo di Araya in Angel Of Death al posto della tua voce…tu apri la bocca e il mio amico fa partire lo stereo“. Grande idea, forse la cosa migliore del film, senza forse.

Non capivo i testi (li lessi e li compresi molto dopo, ammirando quel sadismo e quella carrellata di menti malate), ma mi rendevo conto che ero davanti a qualcosa di pazzesco. Quei riff che mi facevano andare fuori di testa: ne adoravo la velocità  e la pesantezza, va a sapere (a quel tempo) che sarebbero diventati pietra di paragone fondamentale e che Rick Rubin stava entrando anche nell’Olimpo della musica estrema come lo era stato per l’ hip-hop. Ero un ragazzino metallaro, certo, c’era la voglia e la necessità  di ascoltare simili cose, ma ora che sono grandicello mi accorgo che, 35 anni fa, si faceva la storia e la marea di articoli, lodi e recensioni in estasi scritte su questo capolavoro lo dimostrano. Posso dire che ci avevo visto giusto, ma era proprio facile dai.

In conclusione è giusto dire una cosa: la scrittura del disco è in gran parte farina del sacco di Jeff Hanneman e non lo dimentichiamo. Ci manchi Jeff.

Pubblicazione: 7 ottobre 1986
Durata: 28:52
Dischi: 1
Tracce: 10
Genere: Thrash metal
Etichetta: Def Jam
Produttore: Rick Rubin, Slayer
Registrazione: giugno”“luglio 1986, Track Records, Los Angeles, California
Note: Mixato a New York; copertina disegnata da Larry W. Carroll

Tracklist:
1. Angel of Death
2. Piece by Piece
3. Necrophobic
4. Altar of Sacrifice
5. Jesus Saves
6. Criminally Insane
7. Reborn
8. Epidemic
9. Postmortem
10. Raining Blood