All’uscita di “My Universe”, canzone in collaborazione con i  BTS, avevo letto sulla pagina Facebook di IFB il seguente commento: “Con la parola indie, cosa c’entrano i Coldplay oramai?“.

Bene, con il nuovo album uscito dopo due anni il precedente e ben fatto “Everyday Life” posso rispondere senza pensarci due volte: no, non c’entrano più nulla. Anzi, possono tranquillamente essere segnati come band pop che muove masse su masse. La cosa non è un male, di per sè, se gestita bene. “Music Of The Spheres” è, invece, un album che avrebbe del grande potenziale, ma che non riesce a sfruttarlo. Un disco “da stadio“, ma che non ti lascia niente all’interno se non quel rammarico: “potevate fare di più“.

Partiamo dall’inizio: il titolo del nuovo LP viene svelato, in maniera velata, già  due anni fa. Oramai il loro modus operandi è chiaro, eccome, ovvero fanno l’album da tour negli stadi (“A Head Full Of Dreams”, seguito prima dall’intimo “Ghost Stories“), silenzio di anni, poi album più introverso e da tour ridotto (“Everyday Life”) per poi tornare poco dopo con un album e una propaganda pre-pubblicazione all’avanguardia.

Sicuramente l’hype che riescono a creare Chris Martin, Jonny Buckland, Guy Berryman  Will Champion è il migliore di tutti (vedasi il giorno prima dell’uscita del disco la campagna per annunciare la prima leg del tour mondiale. Perchè sì, cari coldplayers arriveranno anche in Italia, vedrete). Certo però che oramai le aspettative nei fan, come il sottoscritto, che li seguono fin dagli esordi sono oramai sotto terra e non ci sarà  niente da fare. L’unica consolazione è in quei pezzi, e sono pochi, che si salvano in questo nuovo lavoro.

L’album è prodotto da Max Martin, non di certo il buon vecchio Brian Eno dei vecchi tempi andati. Già  questo segnale è un segnale poco incoraggiante. Ma vediamo cosa si salva e cosa no e perchè. A meritare applausi sono comunque l’intro (l’emoticon del pianeta), “Higher Power” (con le sue vibes anni ottanta che ci fanno un po’ tornare indietro nel tempo), “People of the Pride” (pezzo copiato dai Muse, ma secondo me fatto molto bene perchè finalmente la chitarra di Jonnyboy viene sfruttata come si deve), l’emoticon (ennesima) dell’infinito (che ricorda molto “Life in Technicolor” strumentale, ma questa volta con coretti e beat dance in background) e infine “Coloratura” (che al suo interno ha quei suoni da Pink Floyd che fanno veramente venire i brividi).

Il resto è inascoltabile. Tralasciando il singolo con la band coreana, possiamo tipo pensare a quella ballad uscita male, e dal testo banale, di “Let Somebody Go” in featuring con  Selena Gomez; oppure potremmo spostarci alla canzone emoticon cuore ovvero “Human Heart” che sicuramente ha il suo effetto, ma che non rende ancora per colpa del testo troppo scontato. Il featuring probabilmente di un robot come in “Biutyful” è agghiacciante, vuoi per la produzione alla base nonsense, vuoi anche per questa voce in 16x che sembra uno dei Chipmunk.

Insomma, la band inglese ha capito un po’ come va il mondo. Sicuramente è un grande gruppo che ha un gigantesco passato alle spalle e che cerca di migliorare il settore del live per renderlo più sostenibile: infatti, il nuovo tour cercherà  in vari modi di essere più green avendo, per esempio, un pavimento nei vari stadi che sfruttando l’energia cinetica degli spettatori porti energia alla gigantesca produzione.

Questo però non basta per fare un buon lavoro. I  Coldplay sono famosi oramai per cambiare sempre “mood” nei loro dischi, e senza dubbio hanno alla base uno studio del suono ben pensato e l’hanno sempre dimostrato. Certo è vero, però, che oramai hanno preso questa deriva pop e commerciale che, man mano, a lungo andare accontenta solo i fan dell’ultimo momento (e non sono pochi!) che non hanno mai sentito quei gran pezzi del passato che li hanno resi grandi. Preciso che il 5 in pagella non è dovuto “alla nostalgia” di quelle canzoni storiche, sono assolutamente consapevole che i Coldplay attuali siano ben altro rispetto agli esordi, ma proprio al fatto che, in questa dimensione fortemente “POP”, il disco ha molte ombre e poche luci.

Posso solo dire che un loro concerto è uno spettacolo da vedere e che, a volte, le grandi chicche del passato vengono riprese live, giusto per scaldare i cuori della vecchia scuola di fan. Quello che sarà  il loro futuro, d’ora in poi, è difficile prevederlo dato il frequente cambiamento. Possiamo solo sperare, seguendo lo schema già  visto, che il prossimo album sarà  “un gran cazzo” di album.

Photo credit: Dave-Meyers / Art direction: Pilar Zeta