Quando osserviamo un cielo notturno ci sentiamo più vulnerabili, ma, allo stesso tempo, siamo più sinceri, innanzitutto con noi stessi, poi anche con gli altri, accettando e vivendo quelle emozioni e quei sentimenti che, durante il giorno, presi dalle nostre frenetiche esistenze, sarebbero visti come una debolezza eccessiva, come un ostacolo al raggiungimento dei nostri obiettivi in termini di carriera, di successo, di soldi e di potere.

Questo disco ha la capacità  ed il pregio di racchiudere dentro di sè quel cielo notturno; di fare leva su quegli stati emotivi che, nonostante la loro evidente fragilità , restano dentro di noi, continuando a nutrirsi nel profondo delle nostre coscienze, laddove il silenzio ha una voce preziosa, laddove nuove idee e nuove passioni possono germogliare dall’oscurità , laddove lo sguardo omologante, opprimente ed invasivo della tanto celebrata società  dell’informazione non è ancora riuscito ad arrivare.

Ed è proprio da questa fatale coltre di buio, da questo fertile e salvifico silenzio, da questo mondo che sta letteralmente cadendo a pezzi, che prendono forma le sonorità  riflessive, melodiche ed introspettive di KOKO, con le loro sfumature intrise di romantica e poetica decadenza, di morbide trame dream-pop, di oblique ambientazioni new wave che, pur essendo rivolte al presente, alle grigie inquietudini di questa realtà  post-industriale, hanno le loro radici in un fantasioso e suadente passato, nei sussurri del vento di “Sayonara”, in un intreccio di nostalgia ed incoscienza, coraggio e dolore, purezza e peccato, incontri improvvisi e altrettanti improvvisi addii.

La musica di KOKO è un sottile filo d’erba, che pur continuando a flettersi e piegarsi, ha l’incredibile capacità  di non spezzarsi; la sua voce è quella di un’umanità  che resiste alla rabbia e alla follia; quella della marea che giunge puntuale e silenziosa sotto l’occhio attento e benevolo della luna; quella dell’aria elettrica e purificante che si respira dopo una terribile malattia; quella dell’abbraccio di coloro che non offrono pietà , non hanno formule magiche, non cercano redenzione, non provano piacere nel giudicare o nel sentirsi migliori, ma percepiscono, amano e condividono quello che è il nostro invisibile dolore.