Dopo i missili ipersonici dell’esordio, è tempo della seconda prova per Sam Fender, giovane inglese che in poco tempo ha attirato l’attenzione degli addetti ai lavori e degli utenti, più o meno mainstream, con risultati eccellenti.

Album numero due che, a differenza di quanto predichi l’adagio, personalmente non è sempre più difficile del primo in quanto (come conferma lo stesso Fender) una bella fetta del materiale era già  stata scritta, pronta per essere incisa. 11 pezzi e ben 5 tracce bonus, niente male come quantità . E la qualità ?

Sceglie il ricettario sperimentato il geordie boy, forte di una voce emozionante e di una penna che scorre alla grande, enfatizzando sulla resa tirata maggiormente a lucido e su ornamenti (tasti, fiati, archi) che arricchiscono la tavola: per il resto, il menu prevede ancora ritmiche solide a spalleggiare andazzi guitar driven (giusto lo spazio dedicato all’acustica), melodie orecchiabili, album e radio oriented, energiche e spesso magniloquenti (in tal senso, la titletrack in apertura è un manifesto programmatico) senza però, per quanto la scrittura si faccia più personale ed introspettiva, dimenticarsi di temi e problematiche d’attualità  e rivolti al sociale.

Toccante anche quando i giri si abbassano (“Spit of You”, la commovente “Last to Make It Home”, l’autunnale “Mantra”, “The Dying Light” che splende in chiusura), una certezza quando le sei corde bruciano attorno al cantato poliedrico del Nostro e i corredi strumentali colorano d’oro l’aria (incalzante “The Leveller”, epiche “Long Way Off” e “Paradigms”).

Al sicuro nel taschino i santini di Springsteen e Granduciel, il biondo di Newcastle con questo album da promessa trova la promozione a certezza del rock melodico non solo britannico, ma già  pronto a prendersi anche una bella fetta commerciale in un territorio storicamente più ostile come quello d’oltreoceano.

Quindi, se l’esordio prevedeva una raffica di missili, questo album è a pieno titolo una campagna di conquista: e con uno-due così, caro Sam, sarà  quindi il terzo album quello davvero difficile.

Credit Foto: Jack Whitefield