Tempo di dire addio anche alla succursale messicana di Narcos. Anche questa volta, così come per l’antesignana colombiana, dopo tre stagioni.

Un ulteriore parallelo tra “Narcos: Colombia” e “Narcos: Messico” riguarda il fatto che entrambe le serie, arrivate alla terza stagione, si trovano a fronteggiare la fuoriuscita di un personaggio simbolo – Pablo Escobar nel caso della versione colombiana, Miguel Angel Felix Gallardo (di uno straordinario Diego Luna) di quella messicana.
In entrambi i casi è andata molto bene, ma ora soffermiamoci sulla versione messicana.

Effettivamente gli sceneggiatori hanno avuto vita facile, dacchè è proprio dopo l’arresto di Gallardo che la War On Drugs si fece tesa e violenta come la ricordiamo. Da una parte la serie narra dunque l’ascesa di uno dei narcos più intelligenti e affascinanti di sempre, il “re dei cieli” Amado Carrillo Fuentes, e dall’altra la sanguinosa guerra tra il cartello di Sinaloa del Chapo e quello di Tijuana degli chiccosi fratellini Arellanos.
Con un lavoro di ampliamento tematico a-là  “The Wire” l’occhio dello spettatore viene proiettato poi anche sul ruolo della stampa, della politica corrotta e su altre problematiche del Messico dei primi anni ’90, come l’esponenziale crescita dei femminicidi.

Al solito la sobrietà  della messa in scena, il ritmo mai scatenato ma comunque sostenuto, la bontà  generale degli interpreti e il giusto mix tra fiction e spirito documentaristico, garantiscono al franchise di portare a casa un altro risultato positivo. Di certo non siamo ai livelli della prima o della terza stagione di “Narcos: Colombia”, che per motivi diversi rimangono il top della gamma, ma molto probabilmente siamo a fronte della migliore frazione del tour tra i signori della droga messicani.