Secco e oscuro, il fim presentato da Paul Schrader all’ultimo festival del cinema di Venezia (dove è rimasto inspiegabilmente a secco di premi) si candida con prepotenza al titolo di film dell’anno.
Non è un film per tutti, è un noir che si prende i suoi tempi e lascia pochissimo spazio alla luce e alla speranza. Forse si vede un barlume di entrambe soltanto nell’ultimissima, meravigliosa inquadratura.

Al centro delle vicende, che contemplano gioco d’azzardo e una drammatica storia di vendetta, troviamo il “card counter” di un magnifico Oscar Isaac (in quanti bei film lo si vede ultimamente?), un ex torturatore di Abu Ghraib incapace di espiare le proprie colpe, di perdonarsi.
La sua vita, consapevolmente e programmaticamente sotto tono, vissuta come una specie di ombra errante di casinò in casinò, si movimenta e riscalda grazie a due incontri destinati a cambiare tutto, a ribaltare la sua invisibile routine.
La colonna sonora è martellante, i momenti più sintetici sono davvero elettrizzanti, ma anche la scelta delle canzoni non originali è azzeccata.

La musica si intreccia poi inesorabilmente a rumori, echi di vecchi clangori e ansimi, che possiamo percepire insieme al protagonista. Schrader vuole farci sentire così tutto il disagio post-traumatico derivato dagli interrogatori potenziati, un’esperienza de-umanizzante a prescindere dal lato da cui la si è vissuta.
Sono invece semplicemente brutali, addirittura psichedeliche e disturbanti le sequenze in cui il protagonista sogna suddetti interrogatori e le carceri infestate dai liquami di Abu Ghraib.

Perfetta infine la fotografia, cupa e gelida, che si divide tra gli sfavillanti ma cupi interni dei casinò e gli esterni delle desolate spianate in cui questi si trovano.

In uno dei rari momenti di tenerezza vissuti dal “contatore di carte”, che non sto qui a spoilerarvi, Schrader ci regala anche uno dei momenti visivi più grandiosi dell’anno – una volta visto il film, saprete di quale sto parlando.