“Il Deserto La Notte Il Mare” è un disco fatto di molteplici particolari, magnetico sin dalla splendida foto di copertina (tratta da un’opera di Nicola Vinci), e come tale va assaporato pian piano, nota per nota, parola per parola, fino a perdervisi dentro e ad innamorarsene perdutamente: sono queste la parola che il nostro Gianni Gardon ha usato nel finale della sua recensione al nuovo album di Andrea Chimenti. Il 9 in pagella e la palma di “album della settimana” hanno reso obbligatoria questa chiacchierata con il cantante emiliano. Andrea è stato gentilissimo nel rispondere alle nostre domande e confermano quanto siano doverose le belle parole spese per lui e per il suo disco.

Ciao Andrea, come stai? Da dove ci stai scrivendo?
Sto bene, grazie! è sempre un bel periodo quello che vede l’uscita di un nuovo album, faticoso ma esaltante e ricco di speranze. Vi scrivo da Verona, in una domenica piovosa.

Ho visto che il tuo tour per promuovere questo nuovo, magnifico, album, è già  iniziato: altre date sono in arrivo. La pandemia ha penalizzato tantissimo l’aspettolive della musica, come hai vissuto questo periodo “buio” e come ti approcci ora atornare (si spera con continuità  e senza altri intoppi) sul palco?
Devo ammettere che non è stato facile tornare a calcare un palco. Ci si disabitua facilmente e riprovandoci mi è sembrato di tornare alle prime volte. Generalmente sono sempre molto emozionato quando faccio un concerto, ma in questo caso l’emozione era più forte. Nel periodo di chiusura ho cercato di essere comunque produttivo. Ho
terminato una raccolta di racconti realizzando anche l’audiolibro per una tiratura limitata di copie. è stata una bella esperienza che mi ha coinvolto dalla scrittura fino alla stampa realizzando un packaging particolare: il libro era correlato di una scatoletta di metallo rivestita al suo interno di velluto e contenente vari oggetti relativi ai racconti oltre ad una pennetta usb con l’audio. Nel frattempo il nuovo disco in uscita era riposto nel cassetto in attesa di tempi migliori. Non so se i tempi migliori siano giunti o meno, ma non poteva più attendere ed ecco che il 5 novembre è uscito per la Vrec Music Label.

Parlando della pandemia ricordo quella frase “Andrà  tutto bene“. Il tuo disco, purtroppo, indica, anche con cruda rabbia e denuncia, che non è andata così. Perchè il sole non è arrivato a scaldarci e siamo sempre avvolti da una notte che spesso è proprio culturale?
Ci siamo illusi che il grande disagio della pandemia, le sofferenze, i morti e tutto quello che ha comportato rendessero l’umanità  più coesa, solidale e invece è accaduto il contrario. Questa sollecitazione ha messo in luce l’egoismo e spesso la brutalità  dell’uomo. L’abbattimento culturale avvenuto negli anni precedenti ci ha tolto le armi necessarie per affrontare questa battaglia dai forti risvolti interiori. Un’umanità  priva di cultura non è in grado di discernere perchè non poggia i piedi da nessuna parte e crolla al primo soffio di vento. Questo sistematico abbattimento culturale nel nostro paese porterà  i suoi frutti velenosi nei prossimi anni e questa pandemia ci ha regalato un’anteprima.

Forse la risposta o la speranza per qualcosa di migliore, Andrea, è proprio nella tua frase “…che sono in viaggio ancora“: come a dire che nonostante tutto non bisogna smettere di cercare, non bisogna fermare il viaggio e sopprimere l’anelito di voglia di rialzarsi anche dopo le tante cadute, che ne pensi?
Sono d’accordo. Finchè c’è viaggio c’è speranza, guai sentirsi arrivati, le mete a basso costo e raggiunte senza fatica sono false e ubriacano l’uomo. Ne è la riprova il consumismo, la tecnologia che ci fa credere di avere il mondo in pugno se non l’universo, il benessere, spesso a scapito di altri popoli e del nostro pianeta. Non so se hai notato che una delle parole più usate negli ultimi anni è “diritto” mentre una delle parole quasi depennate dal vocabolario è “dovere”. Abbiamo solo diritti che alla fin dei conti si traducono nel diritto di fare quello che vogliamo. Il dovere implica fatica, spesso accettazione, ma è un’arma che ti obbliga a ragionare e ad andare oltre le tue necessità  e ai tuoi istinti avvicinandoti all’empatia, alla comprensione dell’altro. Questa nostra umanità  ha da viaggiare ancora a lungo e spero che riesca a darsi la possibilità  di farlo.

Un disco che sa essere oscuro e dolce allo stesso tempo, preziosamente arrangiato, ma anche graffiante e “sporco”. Cantautorale ed elegante, ma con l’anima rock. Lo vedi come un azzardo rispolverare questa parola?
No, non penso sia un azzardo. “Rock” è un termine che nel tempo ha assunto un significato molto ampio e al suo interno sono confluiti altri generi, contaminazioni che continuano a renderlo vivo. Con il termine “Rock” si può intendere anche un atteggiamento contro il pensiero omologato. Oggi esiste tanta omologazione in molti campi come in quello musicale e un atteggiamento “Rock” ha ragione di esistere. Mi fa piacere che tu abbia colto del rock nel mio disco, perchè in effetti lo sento anche io fortemente.

Quanti ospiti e quante preziose collaborazioni in questo disco: le avevi in mente fin da subito o si sono sviluppate strada facendo?
Il disco inizialmente è nato con due pezzi scritti insieme ad Antonio Aiazzi (ex Litfiba) e poi nei mesi seguenti ho scritto il resto dell’album. Durante la produzione fatta insieme a Cristiano Roversi sono nate le altre collaborazioni. Quella con David Jackson è avvenuta grazie ad un contatto dello stesso Roversi così come per altri musicisti meno noti, ma straordinari. La collaborazione con Ginevra Di Marco, Francesco Magnelli e Fabio Galavotti (Moda) appartengono al mio passato e mi è sembrato bello ospitare in questo disco vecchi compagni di viaggio. Avrei voluto includere altri musicisti che sono appartenuti alla mia storia, ma ad un certo punto ci siamo resi conto che era tempo di chiudere le registrazioni, che l’album era finito.

Che bella “Garcia” con quei fiati a tratti dissonanti , pensa che mi è venuto in mente John Zorn”…
WOW che bella cosa mi dici! Grandissimo John Zorn, in effetti nel disco ci sono momenti in cui il rock si fonde ad atmosfere jazz, penso anche al finale di “Oltremare”. Sicuramente un riferimento che mi fa molto piacere.

Ma che sorpresa la traccia “Niente è impossibile”, quasi strumentale, con quel taglio secco e teso eppure morbido nelle parole ripetute del titolo. Sembra proprio concepita (o almeno io l’ho vista così) come la musica adatta ai titoli di coda, perfetta per mettere la parola fine al disco. Sbaglio?
Sì, in qualche modo chiude l’intero lavoro pur essendo presente solo su CD e non sul vinile (purtroppo a causa del minutaggio). Il disco è molto scuro, ma in ogni lavoro che faccio mi viene spontaneo terminare con un punto di luce, una porta che si apre sul possibile. Questo brano l’ho concepito proprio come una fessura che scardina una parete, aprendo un varco verso una possibilità , aprendo il passo alla luce.

Grazie mille Andrea per la tua disponibilità . In conclusione una parola su questa decisione, quasi controcorrente potremmo dire, di non inserire il disco sui canali musicali ormai classici come Spotify. Tutt’altro che snobismo, ovviamente”…
Certo non lo abbiamo fatto per snobismo, l’idea è di David Bonato della Vrec e io l’ho accolta molto volentieri. Si tratta di ridare un valore alla musica, restituirle dignità . Dietro un disco, qualunque esso sia, c’è il lavoro di musicisti, tecnici, studi di registrazione, editori, discografici, grafici, stamperie, senza contare il tempo della composizione e dell’ideazione del progetto. Tutto questo ha un costo non solo in denaro, ma di tempo, impegno e speranze che non può essere vanificato da una piattaforma streaming che non ti restituisce nulla in termini economici. Non voglio demonizzare le piattaforme streaming perchè penso che facciano parte dell’inevitabile evoluzione tecnologica, riconosco anche la grande comodità  di poter usufruire di un patrimonio musicale in qualsiasi momento, ma come sono concepite oggi non aiutano la musica, anzi contribuiscono a toglierle valore propagando una cultura superficiale dove l’ascolto si riduce a pochi secondi per passare ad altro.

Ricordo che da ragazzo i dischi che ho amato di più e che maggiormente mi hanno formato sono quelli che inizialmente non mi piacevano, ma insistendo con qualche ascolto in più finivo per scoprire mondi meravigliosi. Quando questo accade significa che stai crescendo ed è molto difficile che possa accadere nel mondo streaming, ma è solo una mia opinione.

Un’ultima cosa e poi chiudo: credo che ancora oggi l’oggetto abbia la sua importanza. Siamo uomini in carne e ossa, fatti di materia e abbiamo bisogno di materia da maneggiare, da conservare, da amare e trasmettere in dono. Il disco, cd o vinile che sia, come il libro, ha questa funzione e fascino. Un Kindle non avrà  mai il fascino del libro cartaceo, ugualmente un file non sarà  mai un disco. Mi auspico che in futuro la musica liquida e quella fisica trovino un modo intelligente per coesistere.