I Lurve, band russo-estone nata sulle ceneri dei Gaarden che già  avevano dato prova di aver ottime idee, si ripresentato con questo album omonimo pubblicato tramite l’etichetta australiana Library Group Records nel quale, se non fossimo a conoscenza delle loro origini, avremmo potuto pensare di trovarci di fronte ad una nuova band di Manchester.

Forse dovremmo dire di Salford, visto l’inizio dell’album con il brano “Right Moment”, dove forse volontariamente  si simula l’ingresso della chitarra di “Love Will Tear Us Apart”, in una specie  di easter egg a favore dell’ascoltatore.

In realtà  con i Joy Division non è che abbiano poi cosi tanti punti in comune, fatta eccezione di una certa attitudine alla Bernard Sumner  e una certa inquietudine esistenziale giovanile, espressa in un songwriting nel quale si sceglie di mettersi a nudo mostrando le proprie insicurezze.

Ascoltando bene il loro sound si esprime piuttosto tramite un fusione diversa di generi, un guitar-pop anni ’80 mediato da attitudini noise e shoegaze.

“Right Moment” è decisamente un bell’inizio, la band riesce a costruire una brano con un atmosfera di inquieto dream pop, con un punta di noise puntellato da un testo nel quale, con paranoica ripetitività , si parla della perdita del momento e degli incontri che mancheranno solo per un gesto, un attimo mancato.

“I Hate Your Face” potrebbe benissimo essere un singolo, la vocalità  si pone in evidenza insieme ai riff di una chitarra brillante, e un ritornello che ti entra nel cervello, uno dei pezzi migliori dell’album con un bel testo nel quale la consapevolezza di non riuscire ad amare pienamente non riesce ancora a trovare una soluzione.

“Even If I’m Happy I’m In Pain ” è un altro bel brano, la chitarra inizia come fossero i New Order e si combina bene con il resto della strumentazione mentre il cantato si muove melodicamente riuscito.

Con “Lurve” ricreano una sottile atmosfera alla Joy Division, ma le cose riescono a farle bene e il cantante sa reggere il brano con la giusta drammaticità  nel pezzo più intenso dell’album, a cui fa da contraltare il successivo “Small Talk” più diretto e ruffiano, ma non per questo da buttare via.

La chiusura spetta a “I Wish I Was Drunk (pt 1 & pt 2) con una prima parte chitarra e voce e una seconda dove invece la band si scatena, chiudendo degnamente un album che funzione bene, sia nella parte melodica che nella costruzione dei brani.

I Lurve con questo lavoro dimostrano di avere tutte le carte in regola per farsi notare e ritagliarsi un loro spazio: hanno già  in mano una serie di brani capaci di attirare l’attenzione degli ascoltatori e la possibilità  di proporsi in live interessanti, ma soprattutto hanno idee da sviluppare per un loro percorso pienamente personale.