Una performance sofisticata, intensa e capace di alternare momenti introspettivi e riflessivi ad altri, invece, carichi di groove e desiderosi di creare un contatto emotivo col pubblico presente in sala, nonchè un rapporto osmotico e costruttivo tra gli esseri umani e la natura; un rapporto nel quale la musica, anche quella pervasa da frementi ondate di matrice sintetica ed elettronica, assuma il fondamentale ruolo di custode dell’intero Creato, andando a tradurre quelle che sono le sue molteplici voci in melodie, echi, ritmiche e vibrazioni sonore.

Manu Delago si muove, con disinvoltura, in questa dimensione fluida e rarefatta, nella quale le componenti analogiche e digitali si compenetrano visceralmente l’una nell’altra, amplificando i messaggi visuali proiettati sui due schermi posti alle spalle dell’artista austriaco, il quale, nel frattempo, modella sonorità  dinamiche, influenzate dalla musica classica contemporanea, le quali danno consistenza melodica al misterioso e suggestivo disegno divino celato nel ripetersi delle stagioni, in quella inesorabile successione di eventi di fine e di rinascita che permettono alla vita stessa di rinnovarsi e di resistere a qualsiasi attacco, per quanto esso possa essere insensato, violento e distruttivo.

Il cuore antico e pulsante della città  di Napoli, nel quale è custodito quel piccolo tesoro di storia e di musica che è l’Auditorium Novecento, diventa, quindi, lo scenario ideale per le morbide, suggestive ed accattivanti risonanze metalliche dell’hang, per confondere la voce della propria coscienza con quella del vento, con le sue narrazioni, in un tripudio di suoni eterogenei che custodiscono, nel proprio grembo, proprio come fa la terra con i suoi preziosi semi, elementi popolari, jazzistici, classici ed elettronici, senza imporre alcun confine temporale o geografico, senza mostrare alcun timore nei confronti di ciò che non si conosce, ma con l’obiettivo di unire, comprendere e contaminare. E così l’anima antica della città  partenopea, quella che affonda lo sguardo nel passato greco, si congiunge alle vette alpine del Tirolo, alla natura selvaggia ed incontaminata, in una perfetta armonia di proporzioni che possiamo ritrovare nelle misteriosi leggi dell’universo, in ogni essere vivente, ma anche nelle forme musicali e nel legame esistente tra la geometria di questa città  e delle sue strade con simboli sacri al Sole e quindi alla fonte di vita per antonomasia.

“Environ me”, intorno a me, un richiamo all’ultimo album, ma anche a prestare ascolto al nostro pianeta, la cui voce è, spesso, zittita dal rumore prodotto dalle nostre esistenze caotiche, frenetiche, affannose ed iper-tecnologiche. Perchè non fermarsi e cercare di ritrovare quella sintonia perduta con ciò che abbiamo attorno? A cominciare, ad esempio, dalle percezioni più banali, come ad esempio il suono scoppiettante dei chicchi di mais che esplodono in gustoso e profumato pop-corn, mentre l’ultimo brano, intriso di batteria e sfumature prog, chiude l’appassionante concerto di Manu Delago.