E che davvero vi credevate che non arrivavo anche io?

Questa volta effettivamente me la sono presa bella comoda, tanto che nel frattempo è stato detto davvero di tutto e, in diversi casi, molto meglio di come possa dirlo io. Nel bene e nel male, da una parte e dall’altra. Tanto che pare si siano formate due fazioni impegnate in una sanguinosa guerra fratricida. Tanto che quasi decidevo di scrivere invece che una recensione del film una recensione delle recensioni.
Alcune di quelle ostili in effetti meriterebbero una sonora stroncatura.
Mi riferisco a quelli che hanno deciso che Sorrentino sia una sorta di personaggio alla ricerca di identità , o una sorta di plagiario di Fellini. Sorrentino non gira come Fellini, lo cita in un paio di film, forse in tre, tutto qui. Oltre ad avere uno stile ed un’occhio cinematografico riconoscibili al privo movimento di macchina, guardando due o tre secondi di girato. Dai. Può non piacere, può fare film di merda, ma se non sei un imbecille un film di Sorrentino lo riconosci dopo un’inquadratura, nel bene e nel male.
Qualche mazzata se la meriterebbero anche “i nemici dell’autobiografia“. Ma si può sapere che cazzo ve ne frega se Fabietto è Sorrentino o meno? Vi piace il film? Vi emoziona? Vi è piaciuto? Queste sono le domande da farsi. Cosa c’entra di chi sta parlando?

Venendo al film: per me è perfetto.

Nella prima parte ci sono anche un paio di cose che personalmente non mi sono piaciute troppo, ma che a pensarci bene sono necessarie e perfettamente calate nel contesto della raffigurazione grottesca del vicinato.
Napoli è fotografata meravigliosamente, perchè è fotografata con amore.
La vivacità  delle tavolate, le carrellate di personaggi eccentrici, i terrazzi in festa, le chiacchierate con mille voci che si accavallano, gli scherzi telefonici, i pettegolezzi, la goliardia, la borghesia, la disfunzionalità  familiare ci vengono serviti da Sorrentino con fluidità  “lacapriana”. Come accade con gli anni ’40 nel capolavoro letterario Ferito a morte, “E’ stata la mano di Dio” ti sbatte tra quei colori, in quel vociare impertinente, nella Napoli che aspetta l’avvento di Maradona, sulle zizze salsedinose di Luisa Ranieri.

Le emozioni arrivano con forza devastante.

La rivelazione dell’arrivo di Maradona a Napoli consegnata dalla telefonata notturna del banchiere ti fa saltare di gioia. Fabietto che diventa Fabio gridando che “quando sono morti non glieli hanno fatti vedere” a Capuano fa male come una pugnalata.

Poi c’è anche tanta autoironia che aiuta a sdrammatizzare. Quando nella seconda parte del film, programmaticamente meno onirica e più asciutta, Sorrentino si lascia andare ad una “sorrentinata” sembra quasi richiamarsi da solo all’ordine. Mi riferisco ad una scena che non ho visto citare quasi da nessuno, o forse proprio da nessuno, e che secondo me è geniale e rivelatoria. Quando a Capri di notte uno sceicco, l’uomo più ricco del mondo, e una modella sfilano nel silenzio assordante della piazzetta, siamo chiaramente di fronte all’embrione di una “sorrentinata”, che però il regista smonta subito quando Fabietto chiede il nome alla modella sudamericana e questa lo manda a “comer la mierda“.

Ora potrei scrivere qualche altra riga su quanto sia stato bravo il cast e quanto sia stato ben diretto, magari sulla sceneggiatura, sulla divisione in due parti e bla bla bla, tutte cose che immagino abbiate letto altrove e meglio scritte, ma forse è meglio che la chiudo qui e che me ne vado anche io a “comer la mierda“.
Evitando ovviamente di disunirmi.