Per questo quarto LP Alice Phoebe Lou si è riunita con il produttore canadese David Parry, che aveva già  lavorato con lei per il precedente lavoro, “Glow”, registrandolo in appena dieci giorni al suo Dobro Genius Studio a Vancouver insieme ai suoi amici e collaboratori Ziv Yamin (batteria, tastiere) e Dekel Adin (basso) utilizzando attrezzatura analogica e strumenti vintage.

Dopo aver realizzato a marzo “Glow” questo nuovo lavoro arriva a meno di nove mesi di distanza e senza nessun annuncio da parte della musicista sudafricana: è lecito chiedersi se sarà  capace di colpire l’attenzione dei fan come aveva fatto il suo precedessore.

“Underworld” dà  il via ai giochi con un ritmo discretamente elevato rispetto a ciò che ci saremmo aspettati da lei: il suo sound dalle basi folk è supportato da un drumming deciso e continuo e dal preciso mix tra synth e chitarra che creano un’atmosfera dreamy, senza perdere nulla in eleganza e melodia con i vocals di Alice che risultano comunque speranzosi.

Una strumentazione semplice, basata quasi esclusivamente sulla sei corde, per la successiva “Sweet”, che ci regala momenti di songwriting sincero, intimo e dolce.

Più avanti troviamo “If You Were Here”, una delle nostre canzoni preferite del disco: le percussioni leggere e i synth disegnano atmosfere che sembrano volerci portare in un mondo ultraterreno delizioso ed estremamente delicato, tanto da farci ricordare Weyes Blood.

La lunghissima title-track “Child’s Play” (quasi otto minuti) chiude il disco in maniera abbastanza inaspettata: pur rimanendo sia la morbidezza dei vocals della Lou che quella sensazione di rilassatezza e quel raffinato tocco jazz che pervade ogni nota della sua musica, qui i synth tendono a ipnotizzarci in più di un occasione mostrando una inaspettata, ma comunque gradita vena psichedelica.

Un altro disco di alta qualità  per la ventottenne sudafricana che continua a regalare piccole grandi perle ai suoi fan: inutile dire che continueremo a seguire con interesse il suo cammino e la sua crescita artistica.

Credit Foto: Andrea Rojas