Una delle passioni che ho sviluppato con la pandemia è quella per le autobiografie dei musicisti. Ne ho lette diverse nell’ultimo anno e mezzo, e le ho trovate tutte interessanti, come ad esempio si può leggere nel mio articolo su queste pagine relativo al confronto tra gli scritti di Brett Anderson, Louise Wener e Luke Haines. Quando è stata annunciata quella di Bobby Gillespie, le mie aspettative sono schizzate alle stelle, perchè nessun altro riunisce come lui in una sola persona l’essere un musicista poliedrico, un’icona di stile e un personaggio estremamente carismatico. Un trend setter se ce n’è uno, insomma, e non poteva che esserci molta curiosità  su ciò che avrebbe detto e anche su come l’avrebbe detto. Ora che ho finito di leggerla, posso dire che ogni aspettativa è stata largamente superata e che da ora in poi sarà  difficile per me anche solo voler leggere altre autobiografie, tanto nessuna sarà  mai entusiasmante come questa.

Per coprire compiutamente tutti gli elementi sviscerati da questo libro, bisognerebbe semplicemente scrivere un altro libro. Essendo piuttosto remota come possibilità , il lettore deve subito sapere che l’unico modo per cogliere appieno la portata di quanto scritto da Bobby è leggerlo. Qui cercherò comunque di farvi venire ancor più voglia di comprare il libro buttando qualche spunto qua e là . Spero di riuscirci.

Intanto posso iniziare dicendo che questa non è semplicemente un’autobiografia, ma è una finestra privilegiata su trent’anni di cultura e di evoluzione sociale britanniche, ovvero i primi trent’anni di vita di un uomo che ha indubbiamente avuto la fortuna di nascere nel 1961, che significa poter facilmente assimilare i Beatles durante l’infanzia ed essere nell’età  perfetta sia per il movimento punk che per quello acid house. Per poter godere appieno di questa fortuna, però, e soprattutto per rendersi conto di essa, ci vuole una mente particolarmente aperta e una spiccata capacità  di analizzare se stesso e la società  attorno a sè con uno sguardo panoramico, a volo d’uccello. E Bobby questa capacità  ce l’ha eccome, e ha un’apertura mentale capace anche di farlo lottare contro alcuni aspetti del proprio carattere pur di vivere appieno il qui e ora adatto alle proprie caratteristiche umane. Memorabile il momento in cui il Nostro, timido ragazzo di periferia (ebbene sì, Bobby Gillespie da adolescente era timido, sembra assurdo, vero? Eppure è così), che aveva trovato nel punk il veicolo perfetto per sfogare la propria rabbia più o meno latente, va a vedere i Clash, si sente in soggezione di fronte all’arroganza che spopolava tra il pubblico, decide di tornare a casa, ma poi si volta e dice “no, io i Clash li devo vedere” e va al concerto.

Da questo libro esce uno spirito fieramente indipendente, ovvero capace di ragionare con la propria testa (espressione certamente abusata, che però per Bobby è particolarmente adatta) e capire quando qualcosa che succede attorno a sè merita di essere vissuto perchè c’è un’affinità  con la propria persona. Ma emergono anche tanti altri messaggi: che non bisogna scendere facilmente a compromessi, ma che ogni tanto è giusto farlo (all’insegnante che infligge umiliazioni e pene corporali è giusto opporsi, ma se si vuole giocare nella squadra di calcio cattolica bisogna accettare di partecipare ai momenti di preghiera); che il senso di comunità  va sempre e comunque alimentato, perchè senza di esso il singolo è comunque vulnerabile; che stare attenti al modo in cui ci si presenta non significa essere effimeri o superficiali, perchè, che ci piaccia o no (e a Bobby indubbiamente piace, ma non è questo il punto), è importante tanto quanto la sostanza del proprio lavoro e del proprio essere.

Poi c’è anche la critica sociale, basata su concetti che oggi vengono esplicati comunemente, ma che di certo non erano così diffusi allora, eppure Bobby ha lo stesso la capacità  di capire, ad esempio, che la sinistra perderà  sempre contro la destra perchè quest’ultima è in grado di stare unita, mentre la sinistra tende a dividersi in fazioni e a combattere guerre intestine, oppure che l’unione tra la famiglia reale, la Chiesa anglicana e l’aristocrazia ha fatto sì che la popolazione britannica venisse soggiogata attraverso una semplice attualizzazione del concetto di “divide et impera” inventato dagli antichi Romani. Ai potenti conviene che la working class abbia sempre qualcosa da ridire contro chi ha una diversità , che sia omosessuale, o di un’altra razza, o immigrato, perchè così ci tengono a bada e sguazzano nelle nostre divisioni.

Ma quindi cos’è questo libro? Un’autobiografia o un saggio socio-culturale? Entrambe le cose, perchè in mezzo a tutte queste analisi, Bobby ci racconta della propria vita, della propria educazione e della propria carriera da musicista, come detto, fino al 1991, che, come tutti i lettori sapranno, è l’anno di uscita di Screamadelica. L’educazione, soprattutto, è fondamentale per capire al meglio la persona che sta dietro al musicista e, di conseguenza, il musicista: il padre di Bobby era uno dei sindacalisti più attivi di Scozia, e se pensate che stiamo parlando degli anni Sessanta, potete capire quanto credesse in certi principi e quanto il nostro, fin da piccolo, sia stato influenzato da essi. La vita, certamente non è stata facile e la musica ha letteralmente salvato Bobby, ma questa forse era l’unica cosa che si poteva già  immaginare anche prima di leggere il libro, e comunque anche questa viene spiegata in modo mirabile.

Perchè, appunto, è importante non solo ciò che si fa e si dice, ma anche come ci si presenta, e da un lato Bobby non ha alcuna remora nel dichiarare il proprio amore per il look e lo stile, ed è assurdo e impressionante di come si ricordi com’era vestito da capo a piedi in ogni momento della propria vita, dall’altro ciò che viene raccontato nel corso di tutto il libro porta con sè un linguaggio elegante e al contempo di facile comprensione, un linguaggio seducente che porta ad ammirare il personaggio e ad empatizzare con lui, esattamente come il suo carisma e il suo stile.

E poi, per noi feticisti, ogni tipo di curiosità  sulla carriera di Bobby, sui Primal Scream e in particolare su “Screamadelica” viene spiegata in modo esauriente e, come dicevo, in una forma che non può che renderci pienamente soddisfatti. Come si sono conosciuti con Alan McGee? E con Andy Weatherall? Come sono stati gli anni coi Jesus & Mary Chain e come sono i rapporti con loro oggi? Come sono nate le singole canzoni di “Screamadelica”? E il titolo? E la copertina? Perchè Robert Young era soprannominato Throb? A queste e a molte altre domande si trova risposta in questo libro, e ovviamente viene spiegato con dovizia di particolari quali siano state le influenze musicali sia del leader che del resto della band, con una varietà  di gusti e una capacità  critica che naturalmente si accostano perfettamente con quanto detto sopra a proposito dell’educazione e dalla vita dell’autore.

Ci sarebbero tante altre cose da dire, ma mi fermo qui e, onestamente, penso non di aver trattato il libro in modo esauriente, visto che, come detto, lo potrei fare solo scrivendo un libro a mia volta, ma almeno di aver aperto le finestre giuste per invogliare chi legge alla lettura, che oh, se vi piacciono i Primal Scream non dovrei aver bisogno di invogliarvi, ma se proprio proprio siete ancora indecisi, dopo quello che ho scritto non potete non voler leggere. Fatelo e sono certo che sarete entusiasti come me.

Autore: Bobby Gillespie
Editore: White Rabbit
Anno edizione: 2019
Pagine: 432p.
ISBN-10: 1474622062
ISBN-13: 978-1474622066