è il momento delle conferme in casa Silverbacks. Il quintetto irlandese, fondato e capeggiato dai fratelli Daniel e Kilian O’Kelly (cantanti e chitarristi), arriva al fatidico appuntamento col secondo album circondato dal clamore generato dal recente esordio, il pluri-incensato “FAD”, uscito nell’estate del 2020. Un debutto composto e registrato negli ultimissimi mesi della ridente epoca pre-COVID, quando le distanze interpersonali non erano all’ordine del giorno, un luogo affollato non rappresentava per forza una minaccia alla salute e le mascherine venivano indossate giusto dai turisti asiatici più premurosi.

Le radici di “Archive Material”, invece, affondano in maniera decisa nel terreno pandemico; nel nuovo disco della band dublinese, infatti, tutto ruota attorno alla vita ai tempi della lunga ed estenuante emergenza sanitaria globale. Un lavoro che – come ci hanno spiegato gli stessi Silverbacks, di cui riprendo quasi testualmente le parole ““ prova a catturare l’assurda miscela di monotonia e inquietudine strisciante sperimentata da tutti noi negli ultimi due anni.

Per nostra fortuna i cinque irlandesi sono degli inguaribili buontemponi: la loro traduzione in musica di un incubo che, nonostante vaccini e guardia alta, continua ad attanagliare il mondo da ben 24 mesi, ha un gusto leggero, divertente e un filo sarcastico. è l’ironia il segreto del successo della formula post-punk proposta dai Silverbacks, degni eredi dello stile strampalato e spigoloso dei maestri Pavement.

L’ombra lunga di Stephen Malkmus si staglia sulle dodici tracce di “Archive Material” come fosse una presenza evanescente ma viva ““ percepibile in modo particolarmente chiaro negli episodi musicalmente più vicini allo slacker rock degli anni novanta, sempre in bilico tra la dolcezza di melodie squisitamente pop e la “ruggine” di intrecci chitarristici raffinati ma dal sapore lo-fi (“A Job Worth Something”, “Central Tones”, “Nothing To Write Home About”, la soffice “Econymo” impreziosita dalle note di un piano elettrico).

Non voglio dire che i Silverbacks ripudino la modernità , ma di certo non fanno alcun tipo di sforzo per suonare al passo coi tempi. Il legame di “Archive Material” con i nostri terrificanti giorni è indissolubile; in questo senso è emblematico il testo di “Different Kind Of Holiday”, che descrive come i vari periodi di confinamento abbiano cambiato i rapporti tra vicini di casa.

Da un punto di vista prettamente stilistico, però, l’album sarebbe potuto benissimo uscire a inizio millennio, nel pieno della fortunatissima ondata indie rock degli anni zero, o persino prima. Sicuramente avrebbe raccolto ““ in maniera tra l’altro meritata ““ tante attenzioni in più. Mi rendo però perfettamente conto che una simile constatazione nulla toglie o aggiunge a un disco che, seppur carente in termini di originalità , sa lasciare un segno forte nell’ascoltatore poichè fresco, genuino e coinvolgente.

I ritmi ballabili e dance-punk di “Rolodex City”, “Recycle Culture” e “Archive Material” (siamo dalle parti dei Gang Of Four o, giusto per non scomodare i giganti, dei Radio 4 meno nervosi) e la voce deliziosa della bassista Emma Hanlon (tenerissima nella conclusiva “I’m Wild”) sono tra i punti più luminosi di un album che nessun lettore di Indie For Bunnies dovrebbe farsi scappare.